
Amava bere e mangiare, amava le donne e amava il cinema. Un signore beneducato e ironico, che guardava con un certo distacco non solo la borghesia, messa alla berlina nei suoi film, ma anche se stesso e i suoi colleghi. Aveva cominciato a far cinema coi soldi della prima moglie, assieme all'amico Eric Rhomer, iniziando il movimento della “nouvelle vague” da cui col tempo si era allontanato per immergersi in atmosfere più noir, tanto da poter essere considerato, dopo Jean-Pierre Melville, il maggior autore francese del genere: a caratterizzare le sue pellicole era l'ambiente in cui le storie si svolgevano, non quello gangsteristico, ma la tranquillità di famiglie benestanti in cui si infiltrava “il fiore del male” . I suoi infatti non erano certo gialli alla Agatha Christie, dove conta scoprire l'assassino, ma indagini sull'animo umano, sulle reazioni della gente comune di fronte all'omicidio, sui meccanismi dietro le menzogne.
Sue muse ispiratrici furono Stephane Arduan, sua seconda moglie e sua amica del cuore fino alla fine, anche dopo essersi separato e risposato una terza volta, e Isabelle Huppert, che lui stesso lanciò con “Violette Nozière”.
L'esordio è del '58 con “Le beau Serge”, il primo film che “sdogana” la Nouvelle Vague presso i festival internazionali (suo il Pardo d'oro a Locarno), subito seguito da “I cugini” (premiato a Berlino) e da “A doppia mandata”, in cui comincia a intingere di giallo le sue commedie. Dopo la parentesi realista di “Donne facili”, torna all'umorismo nero con “Landru”. Seguono alcuni film minori di spionaggio, per tornare in forma smagliante nel '67-'69 con “Lo scandalo-Delitti e champagne”, “Stephane, una moglie infedele”, “Il tagliagole”, “Ucciderò un uomo”. È del '71 il suo film più hitchcockiano, “Dieci incredibili giorni”, con un ruolo su misura per Orson Welles e fa scandalo (in Francia) con “L'amico di famiglia”. Seguono ancora alcune pellicole meno riuscite, anche se con vari motivi di interesse (“Una gita di piacere”, “Sterminate gruppo zero”, “Gli innocenti dalle mani sporche”, “Profezia di un delitto”) finché nel '78 lancia la Huppert, facendola vincere a Cannes, col citato “Violette Nozière”. Nell' 82 firma il bellissimo “I fantasmi del cappellaio”, da Simenon, e due anni dopo “lancia” il personaggio dell'ispettore Lavardin (che tornerà due anni dopo con il film omonimo) in “Una morte di troppo”. Da ricordare ancora: “Il grido del gufo”(da Patricia Highsmith), “Un affare di donne”, “Madame Bovary”, “Il buio nella mente” (da Ruth Rendell), ribadendo con questi titoli il proprio amore per i personaggi femminili e il loro punto di vista, anche quando è malato. Gli anni che per molti autori sono del declino, donano a Chabrol invece una deliziosa lucidità e le sue pellicole forse migliori: “Il colore della menzogna”, “Grazie per la cioccolata”, “Il fiore del male”. E ancora “La damigella d'onore”, “La commedia del potere” e “Bellamy”, interpretato dal suo compagno di crapula Gerard Depardieu e girato l'anno scorso, confermano quello spirito caustico e, sotto sotto, desolato che ha accompagnato tutti i suoi film, riusciti o meno.