Il Camaleonte umano

16/05/2008

Nella fitta filmografia di Woody Allen, c’è una pellicola che a nostro parere può ambire ad ottenere l’aggettivo “capolavoro”: “Zelig”. Intanto, per come è stata realizzata, con un’abilissima commistione tra filmati degli anni ‘20-’30 ed immagini girate da Allen (e tutto ciò prima dell’avvento del computer: altroché i “mix” visti in “Forrest Gump”!), con particolare cura anche del sonoro, che appare veramente “d’epoca”; poi per l’umorismo che attraversa tutto il film, con punte assolutamente esilaranti sia a livello di battute che di gag. Ma al di là di tutto ciò c’è anche l’indimenticabile personaggio di Leonard Zelig, “il camaleonte umano”, che ha addirittura regalato il suo nome ad una psicosi, “la sindrome di Zelig”, appunto.

Di che si tratta? Di una crisi d’identità o, meglio, di una mancanza d’identità, che spinge il soggetto ad imitare negli argomenti, nei modi, persino nell’aspetto fisico le persone che ci stanno di fronte; e questa “imitazione”, si badi bene, non è volontaria, ma risulta automatica ogni qualvolta il soggetto teme di non essere accettato. La genialità di Woody Allen consiste nell’aver portato alle estreme, comiche conseguenze (Zelig diviene grasso coi grassi, nero coi neri, con la barba da rabbino con gli ebrei, con trecce e abiti da pellerossa coi pellerossa, e così via )un problema reale.

Il lato patetico (anche se il regista si guarda bene dal dare toni patetici alla sua storia!) di Zelig è che egli a un certo punto si rende conto della propria malattia ( “Un giorno sentii qualcuno parlare di Moby Dick: non l’avevo mai letto e mentii...”) e chiede d’essere amato per quello che è, ma ciò non è possibile, anche per gli strascichi legali della faccenda: durante l’assunzione delle diverse personalità Zelig ha combinato diversi guai, dall’essersi sposato, all’aver ridipinto (male) la facciata di una casa, all’aver fatto partorire una malcapitata paziente mentre si credeva ginecologo...

Alla fine la costanza della dottoressa che lo cura lo riporta alla normalità, al controllo dei propri impulsi. E allora Zelig comincia una vita piuttosto monotona , con dei gusti un po’ mediocri ( “ma sono i suoi gusti, non quelli di qualcun altro”)  . Alla fine, avrà un unico rimpianto: “Non essere riuscito a terminare la lettura di Moby Dick”.

Un film divertentissimo, si è detto, ma anche una storia esemplare di diversità: Zelig è diverso dagli altri e, proprio rendendosi simile agli altri, sottolinea questa sua diversità, diviene un fenomeno da baraccone. Durante la cura a un certo punto esagera nel voler invece difendere le proprie idee, diventa “ostinato e pignolo”. Poi cade nella più completa confusione, e sarà un ritorno di malattia a salvarlo quando, inseguito dai nazisti arrabbiati con lui, che ha messo scompiglio durante un discorso di Hitler, salirà su un aereo e, credendosi un pilota, riuscirà a guidarlo fino agli Stati Uniti! E sinceramente questo particolare ci sembra il più interessante di tutti: sì, Zelig guarisce, ma è la sua anomalia a salvargli la pelle...

Elena Aguzzi