Freaks: mostri. Sono perseguitati dalla dannazione di essere speciali, diversi, dotati di “superpoteri” in un mondo in cui il super potere fa di te un’attrazione circense, i protagonisti dei film di Gabriele Mainetti. Lo era il ladruncolo supereroe per caso dopo un contatto con sostanze radioattive nel Tevere Claudio Santamaria in Lo chiamavano Jeeg Robot e questa commistione tra lo scenario di una Roma odierna e violenta e il fantastico ha subito conquistato pubblico e critica mostrando Mainetti come una rivelazione. E lo sono in Freaks Out gli artisti di un circo distrutto in cerca di un luogo in cui stare, perché questi novelli fenomeni da Mago di Oz non hanno alcun posto da chiamare casa. Siamo ancora a Roma, dove li vediamo vagare, ma più indietro nel tempo. Siamo negli Anni Quaranta e questa Roma è squartata dalla violenza nazista contro cui si oppone la guerriglia partigiana. Il capocomico, ebreo, sa che per loro non c’è posto: mostri ed ebrei in un mondo che rifiuta sia gli uni che gli altri.
Sono molte le analogie tra il primo film del regista e questo più sontuoso secondo, con una produzione più ricca alle spalle e dunque più spettacolare. Prima di tutto l’originalità che lo fa sfuggire a tutti i cliché del Cinema Italiano. E poi quel senso di fiaba, di magico, di impossibile che sussurra tra le pieghe del film e a tratti emerge in poesia. E come una fiaba inizia Freaks Out per cambiare poi registro. Per una buona metà lo potreste credere un film di Tim Burton, che nella filmografia di Freaks è maestro. E Tim Burton è certo citato, così come Fellini, immancabile riferimento nelle visioni oniriche di un circo (e lo sottolineano anche le musiche). Ma, come appunto accade anche in Lo chiamavano Jeeg Robot, gradualmente la regia cede all’eccesso. A Mainetti piace colpire allo stomaco, cercando volutamente l’effetto del mostruoso. Lo fa soprattutto nella figura dell’antagonista. Se là era un Luca Marinelli che si trasformava a sua volta in un super mostro qui è il nazista Franz, il pianista a sei dita, anch’egli un freak non solo per la deformità delle mani ma per le tormentate visioni del futuro che ne fanno una Cassandra del Reich e lo spingono al sogno folle di donare dei supereroi al Führer.
Se anche a volte vola troppo sopra le righe e si lascia prendere la mano dagli effetti speciali, Mainetti resta una fucina di invenzioni visive e spettacolari, e Freaks Out è un caleidoscopio di immagini al cui interno si muovono personaggi sofferenti tenuti in piedi solo dall’amicizia che lega questo piccolo nucleo di reietti diversi, un mix esplosivo di fumetti, favola, citazioni filmiche e storia rivisitata. Claudio Santamaria è la bestia, Giancarlo Martini l’uomo magnetico, Pietro Castellitto l’albino che governa gli insetti e Aurora Giovinazzo è Matilde, la Dorothy dalle treccine che si aggira con la belva, l’uomo di latta e lo spaventapasseri, è la ragazza elettrica che odia e respinge il suo dono perché lo sa portatore di morte e che la rabbia può farlo assurgere ad un potere smisurato.
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