“Non c’è seconda occasione,
non c’è per la maggior parte di noi. Quando arriviamo alla finestra è Ora di
Chiusura. Le sbarre di ferro sono lì a vita” (J.M. Barrie)
C’è una statua scolpita da
George Frampton a Kensington Gardens. Raffigura Peter Pan che suona il flauto,
mentre le creature magiche dei Giardini lo stanno ad ascoltare. Perché quei
luoghi appartengono alle fate, agli uccelli e ai bambini. James Matthew Barrie
li percorreva la mattina coi figli della donna di cui era innamorato, e che
adottò dopo la morte di lei, e intanto inventava la favola di Peter Pan, volato
via dalla finestra perché non voleva crescere, ma rimasto per sempre un
Tra-il-Qui-e-il-Là, né bambino né uccello. Il riflesso di quella stortura che
era il suo stesso autore, adulto nostalgico ed immaturo cui era rimasta la
visione di un bambino. “Il terrore della mia infanzia era la consapevolezza che
sarebbe venuto un tempo in cui anch’io avrei dovuto rinunciare ai giochi e non
sapevo come avrei fatto – scriveva – Sento che devo continuare a giocare in
segreto”.
Così Peter Pan vola via, a vivere tra le fate, seguendo il desiderio di
Barrie, ma gli rimane il rimpianto della casa alla quale non potrà più fare
ritorno. Accade così anche a Wendy e ai fratellini, quando lo raggiungono
nell’Isola-Che-Non-C’è: a un certo momento decidono di tornare a casa, ma una
volta abbandonata l’Isola non è più possibile ritrovarne la strada, né la
capacità d’intraprendere il magico volo. “Nel momento in cui dubitate di poter
volare, perdete per sempre la facoltà di farlo.”
Non sempre è stata afferrata la poesia impalpabile di queste due favole
lievi: “Peter Pan nei Giardini di Kensington”, più un abbozzo che un breve
romanzo, meravigliosamente illustrato dal neogotico Arthur Rackham, e il più
avventuroso “Peter Pan e Wendy” scritto prima in forma di commedia. Se ne è
colto di più l’aspetto superficiale, le lotte contro Capitan Uncino, e nemmeno
il film di Walt Disney è rimasto immune da questa distrazione. Per tacere, poi,
di quell’obbrobrio all’americana girato da Spielberg.
Si tralascia, o si rischia di dimenticare, quel toccante finale in cui
Peter Pan, distratto da nuovi amici e avventure, torna da Wendy solo molti anni
dopo, e la trova cresciuta, sposata, dimentica della promessa di restare
bambina per sempre. Quanti, davanti a quello stesso bivio, hanno cessato di
pensare a cose straordinarie e scelto di rientrare nel mondo e diventare
normali! E’ per questo che le fate muoiono: perché nessuno crede più in loro.