Ci occuperemo, questa volta, non di un vero e proprio
remake ma del forte filo che lega tra loro tre pellicole diverse per epoca e
provenienza, e quindi per umore dei loro creatori, ma tutte sensibili al tema del
secondo amore. “Secondo amore”:
proprio questo il titolo del film di Douglas Sirk, l’autore del melodramma per
eccellenza, che del melodramma rispetta tutte le regole e perfino i luoghi
comuni. Ricca vedovella (Jane Wyman) s’innamora dell’aitante giardiniere (Rock
Hudson) di lei assai più giovane, inutile dire che i figli la contrastano, che
la società non capisce, che lui viene additato come un cacciatore di dote e lei
come esposta allo scandalo, che le impongono una separazione. La vedova
sacrifica il suo sogno ma scopre che il sacrificio era inutile, che l’amore era
stato scambiato per capriccio. Ma amor vincit omnia e tragiche circostanze
riuniscono i due amanti (cfr. articolo a lato).
Il soggetto colpisce nel …. un altro amante del
melodramma, Rainer Werner Fassbinder, che lo riprende e lo spoglia di tutti i
suoi orpelli splendenti, non solo della ricchezza ma anche dei suoi colori
accesi, per immergerlo in quelli lividi e nella freddezza di una Germania
povera e arrabbiata, martoriata dal razzismo. L’anima di Fassbinder è duplice,
da una parte la propensione verso le passioni disperate e fatali, per i
sentimenti sopra le righe, dall’altra la scelta di uno stile scarno ed efficace
(cfr. “Quarto Potere” n. 5 anno 3). Con “La
paura mangia l’anima” non solo rinuncia ai divi, ma sceglie volti comuni,
brutti, ambienti poveri. E la seconda occasione di vivere tardivamente una
storia d’amore è osteggiata non solo dall’età degli innamorati (qui due
malinconici derelitti), ma dall’odio di razza (il protagonista è un immigrato
nordafricano) e tutta la vicenda è raccontata con un realismo che al film di
Sirk, proteso invece verso i sogni di Hollywood, decisamente mancava.
Capitolo terzo: “Lontano
dal Paradiso” di Todd Haynes, 2002, un connubio più che felice, addirittura
miracoloso, dei due precedenti modelli. “Lontano dal Paradiso” eredita lo splendore mozzafiato dei colori di
Sirk, l’ambiente Anni 50 ricreato nei dettagli, negli abiti e nello stile con
l’omaggio di un’imitazione perfetta ad un’epoca d’oro del Cinema, e riprende il
discorso antirazzista di Fassbinder, rincarandolo (il primo amore è un
omosessuale, il secondo amore un uomo di colore, i favolosi Anni 50 non possono
che essere feroci contro la protagonista marchiata da tanta diversità) ed anche
l’amarezza, un’impossibilità ad essere felici che sa più di desolato che di
melodramma. Il Paradiso di Sirk, dell’amore, di una società sorridente e serena
non è mai stato così lontano. Se da una parte Haynes è talmente perfetto da dar
l’impressione di cimentarsi in un gioco di stile (e ci regala la più bella
interpretazione di Julianne Moore) dall’altra il film palpita di un sentimento,
di una commozione segreta che solo i racconti in stato di grazia di amori
appena sfiorati e mai capiti sanno creare. Un “breve incontro” che termina in
una stazione (un altro omaggio, forse?), con un saluto silenzioso a tutto ciò
che non ha potuto essere. Se la prima e la seconda sono buone, la terza è
stupenda.