Tre ciack, tre ottimi film per una medesima storia,
quella di Akira Kurosawa e Ryuzo Kikushima, dalla quale il primo trasse un film
indimenticabile: – La sfida del Samurai - con Toshiro Mifune, del 1956. Un
samurai senza padrone (un ronin) giunge nel posto giusto e al momento giusto,
ovvero in un villaggio tiranneggiato da due grandi famiglie che si
fronteggiano. La giustizia è quella della spada, i soli abitanti non
appartenenti ad un clan che siano riusciti a conservare un lavoro sono l’oste e
il becchino. I morti non si contano quasi più. Il mercenario comprende la
situazione ed escogita un modo per guadagnare più soldi possibili. Offre i suoi
servigi ad entrambe le famiglie rivali. Ben presto, però, i valori che sembrano
sopiti in lui riaffiorano. L’uomo migliore del partito più potente ha un’arma
sconosciuta a tutti gli altri: una pistola, e non lesina certo la sua
arroganza. Per il samurai la situazione precipita quando una donna, sposata ad
un uomo debole e madre di un bambino, viene fatta prigioniera dalla fazione
alla quale aveva deciso di assoggettarsi. Uccide molti uomini per donarle la
libertà e, nonostante il suo piano, viene scoperto. Ridotto in fin di vita,
riesce rocambolescamente a fuggire con l’aiuto del becchino che, dentro una
bara, lo conduce al cimitero, al riparo di una vecchia baracca. Nell’ombra, il
samurai riprende le forze e si allena per la sua vendetta. Quando apprende che
l’oste, suo amico, sta per essere fatto oggetto di torture affinché sveli il
ricovero di colui che entrambe le parti, ora, vogliono morto, il guerriero esce
allo scoperto, scontrandosi, infine, con l’uomo armato di pistola e vincendo
onorevolmente.
Dall’Oriente all’Italia, con Sergio Leone, il quale
ricalca la sceneggiatura ricavandone il film che avrebbe consacrato Clint
Eastwood quale archetipo dell’eroe western cinematografico post Wayne. L’uomo
con la pistola diventa l’uomo con il fucile: Gian Maria Volontè (Ramon), e da
lui la celeberrima battuta: “Dice un proverbio messicano: quando un uomo con la
pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la postola è un uomo morto.”
“Sarà, - risponde Eastwood – ma io preferisco la pistola.” E non si sbaglia,
perché dalla guerra fra i Rojo e i Morales per il controllo del paese vince la prima
fazione, quella di Ramon, e nel duello finale, tornato dal regno dei morti in
cui si era rifugiato per vicende analoghe a quelle sopra descritte, l’uomo
armato di Smith and Wesson vince contro quello munito di Winchester, quasi una
presa di posizione dell’ western all’italiana contro quello americano il cui
simbolo era, appunto, il famoso fucile.
Walter Hill, nel 1996, firma un ottimo lavoro dal
titolo “Ancora vivo”, con Bruce Willis e Christopher Walken, che da uomo col
fucile diventa uomo con la mitragliatrice, in una sorta di climax bellico
ascendente. La trama è fedelissima a quella di Kurosawa. Bruce Willis è, di
nuovo, l’eroe negativo che ritrova se stesso, arrivato all’inferno per
riportare la legge, salvo poi andarsene senza averci guadagnato nulla. Mentre
nell’originale il protagonista faceva dell’onore il suo bottino, nel film di
Leone Eastwood è decisamente un personaggio dark, ambiguo, la cui unica
debolezza sta nel desiderio di salvare la donna più per ragioni personali, si
intuisce, che motivato da un ethos. Inoltre, ripetendo nell’eco del deserto “Al
cuore, Ramon!” e rialzandosi illeso ad ogni colpo del messicano grazie ad una
placca di metallo fissata al petto, rende il suo ritorno ancora più spettrale,
enfatizzando in modo sublime e moderno le angosce tipiche leoniane.
Climi torridi e copione studiato per i protagonisti
nell’opera di Hill, che può vantare l’indiscusso merito di aver aderito
fedelmente al modello senza trascurare le esigenze di Willis e di un demoniaco
Walken, sfregiato e ustionato in volto. E’ sua la battuta più caustica del
film. Alla provocazione del mercenario: “Pensavo fossi tu l’uomo migliore di
Doyle.” lui risponde con voce roca: “No, io sono il più bello.”