I Ronin dall'oltretomba

16/05/2008

Tre ciack, tre ottimi film per una medesima storia, quella di Akira Kurosawa e Ryuzo Kikushima, dalla quale il primo trasse un film indimenticabile: – La sfida del Samurai - con Toshiro Mifune, del 1956. Un samurai senza padrone (un ronin) giunge nel posto giusto e al momento giusto, ovvero in un villaggio tiranneggiato da due grandi famiglie che si fronteggiano. La giustizia è quella della spada, i soli abitanti non appartenenti ad un clan che siano riusciti a conservare un lavoro sono l’oste e il becchino. I morti non si contano quasi più. Il mercenario comprende la situazione ed escogita un modo per guadagnare più soldi possibili. Offre i suoi servigi ad entrambe le famiglie rivali. Ben presto, però, i valori che sembrano sopiti in lui riaffiorano. L’uomo migliore del partito più potente ha un’arma sconosciuta a tutti gli altri: una pistola, e non lesina certo la sua arroganza. Per il samurai la situazione precipita quando una donna, sposata ad un uomo debole e madre di un bambino, viene fatta prigioniera dalla fazione alla quale aveva deciso di assoggettarsi. Uccide molti uomini per donarle la libertà e, nonostante il suo piano, viene scoperto. Ridotto in fin di vita, riesce rocambolescamente a fuggire con l’aiuto del becchino che, dentro una bara, lo conduce al cimitero, al riparo di una vecchia baracca. Nell’ombra, il samurai riprende le forze e si allena per la sua vendetta. Quando apprende che l’oste, suo amico, sta per essere fatto oggetto di torture affinché sveli il ricovero di colui che entrambe le parti, ora, vogliono morto, il guerriero esce allo scoperto, scontrandosi, infine, con l’uomo armato di pistola e vincendo onorevolmente.

Dall’Oriente all’Italia, con Sergio Leone, il quale ricalca la sceneggiatura ricavandone il film che avrebbe consacrato Clint Eastwood quale archetipo dell’eroe western cinematografico post Wayne. L’uomo con la pistola diventa l’uomo con il fucile: Gian Maria Volontè (Ramon), e da lui la celeberrima battuta: “Dice un proverbio messicano: quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la postola è un uomo morto.” “Sarà, - risponde Eastwood – ma io preferisco la pistola.” E non si sbaglia, perché dalla guerra fra i Rojo e i Morales per il controllo del paese vince la prima fazione, quella di Ramon, e nel duello finale, tornato dal regno dei morti in cui si era rifugiato per vicende analoghe a quelle sopra descritte, l’uomo armato di Smith and Wesson vince contro quello munito di Winchester, quasi una presa di posizione dell’ western all’italiana contro quello americano il cui simbolo era, appunto, il famoso fucile.

Walter Hill, nel 1996, firma un ottimo lavoro dal titolo “Ancora vivo”, con Bruce Willis e Christopher Walken, che da uomo col fucile diventa uomo con la mitragliatrice, in una sorta di climax bellico ascendente. La trama è fedelissima a quella di Kurosawa. Bruce Willis è, di nuovo, l’eroe negativo che ritrova se stesso, arrivato all’inferno per riportare la legge, salvo poi andarsene senza averci guadagnato nulla. Mentre nell’originale il protagonista faceva dell’onore il suo bottino, nel film di Leone Eastwood è decisamente un personaggio dark, ambiguo, la cui unica debolezza sta nel desiderio di salvare la donna più per ragioni personali, si intuisce, che motivato da un ethos. Inoltre, ripetendo nell’eco del deserto “Al cuore, Ramon!” e rialzandosi illeso ad ogni colpo del messicano grazie ad una placca di metallo fissata al petto, rende il suo ritorno ancora più spettrale, enfatizzando in modo sublime e moderno le angosce tipiche leoniane.

Climi torridi e copione studiato per i protagonisti nell’opera di Hill, che può vantare l’indiscusso merito di aver aderito fedelmente al modello senza trascurare le esigenze di Willis e di un demoniaco Walken, sfregiato e ustionato in volto. E’ sua la battuta più caustica del film. Alla provocazione del mercenario: “Pensavo fossi tu l’uomo migliore di Doyle.” lui risponde con voce roca: “No, io sono il più bello.”

Carlo Baroni