
All'origine c'è un testo teatrale di Anthony Shaffer, “Sleuth”, letteralmente
“Il segugio”: un gioco di investigazione, di “seguire tracce di sangue”, di
doppi e apparenze.
Un duello (questo il titolo italiano della commedia) tra
un noto scrittore di gialli, chiuso nella sua lussuosa casa-giocattolo dai mille
trabocchetti, e tale Milo Tindle, anzi Tindolini: un aspirante attore che fa il
parrucchiere, di origine italiana, parvenu da quattro soldi e di bell'aspetto,
che ha una relazione adulterina con la vanesia moglie dello scrittore.
Nel
'72 Joseph Mankiewicz ne trasse un mirabile film, assurdamente intitolato in
italiano “Gli insospettabili”. Nonostante la rigorosa impostazione teatrale e la
durata di ben oltre due ore, il film passa agile, divertente e labirintico,
cinico e raffinato tra colpi di scena e sottili ambiguità molto british,
reggendosi su una scenografia barocca satura di bambole, automi e carillon e
sull'interpretazione maiuscola di sir Laurence Olivier, che tratteggia il suo
personaggio con odio e sarcasmo, e del giovane e più che promettente Michael
Caine.
Nel “primo atto” assistiamo così alla proposta dell'anziano scrittore,
fatta all'incredulo Tindle, di rubargli una preziosa collana: così potrà
mantenere la dispendiosa Maggie e toglierla di torno per sempre. Il giovanotto,
che non è proprio un'aquila, accetta, facendosi anche deridere nel corso
dell'operazione di scasso, ma ecco il primo ribaltamento dei fatti: si tratta di
una trappola, ora l'uomo lo può uccidere sostenendo di aver fermato un
ladro.
Nel “secondo atto” entra in scena un detective “non scemo come lei ci
descrive nei suoi romanzi”. L'uomo è incredulo, giura che il colpo era a salve,
che aveva voluto solo umiliare il giovanotto, non ucciderlo, perché ora è
scomparso? E questo sarebbe il secondo colpo di scena, mi spiace avervelo
rovinato. Terzo coup de theatre, anche questo tutto sommato rivelabile: infatti
il ragazzo non è morto, ma era un attore, ricordate?, e il travestimento era
perfetto. Lo shock di trovarsi di fronte una pistola deve avergli svegliato il
cerebro, tanto da ricevere l'ammirazione del rivale. Uno a uno e palla al
centro, dunque?
Nemmeno per sogno, questo è stato un leggero spavento, non
un'umiliazione totale, non la morte in faccia. La vendetta continua. Stavolta
c'è un morto vero, l'amante dello scrittore, e lui deve far sparire degli indizi
incriminanti, nascosti secondo lo schema di una complicata caccia al tesoro
(l'uomo si diletta infatti di enigmistica) prima che giunga davvero la polizia.
La caccia ha inizio, e questa volta non vi sveliamo l'ultimo ribaltamento e il
finale: recuperate il film e godetevelo. Bella l'ultima battuta, “Ricordati di
dire che era tutto un gioco”.

E quest'anno ecco il remake. Titolo originale,
sempre “Sleuth”, titolo italiano, sempre “Gli insospettabili” tanto per far
capire di che si tratta. Regia, Kenneth Branagh, autore per metà idolatrato e
per metà odiato, non lascia mai indifferenti. Qui ci schieriamo a suo favore,
perché la maestria con cui muove la cinepresa nell'arzigogolata e tecnologica
scenografia, utilizzando gli schermi delle telecamere di sicurezza, le
inquadrature dall'alto, i primi piani ravvicinatissimi, l'utilizzo di colori
freddi e i giochi di luce, merita un applauso. Era del resto difficile, se non
impossibile, affrontare una sfida contro il talento di Mankiewicz e lui ha fatto
la sola cosa possibile: cambiare totalmente stile.
Perché, infatti, rifare
un film ben riuscito? Che senso ha attualizzare un testo volutamente demodé?
L'operazione nasce su imput di Jude Law, attore e produttore, evidentemente
stanco di apparire più sui tabloid che sui giornali di spettacolo seri, e che
sceglie di ricoprire il ruolo che fu di Caine e convince Caine a ricoprire
quello che fu di Olivier. Che orgasmo. E qui però è proprio la prima pecca. Se
Law, oltre che bello da capogiro, è anche bravo, vivace, con una forte
personalità (a volte fin eccessivo...), Michael Caine è più manierato nel suo
essere sornione e, come accade da un po' di tempo, sembra imitare se stesso. Con
tutto il rispetto, tra lui e Olivier ce ne corre.
La seconda pecca,
incredibile ma vero, sta nella riscrittura del testo, affidata a Harold Pinter,
il più grande drammaturgo inglese vivente. Shaffer, per quanto bravo, a Pinter
può pulire le scarpe. Pinter poi sa anche scrivere per il cinema, si pensi a “Il
servo” e a “Messaggero d'amore”. Qui però pecca di presunzione, e riscrive il
testo sulla base di un racconto che si fa fare dalla produzione, senza nemmeno
“abbassarsi” a leggere l'originale. E parte per la tangente.
Se primo e
secondo atto rispecchiano lo schema, cambia però il tipo di umorismo, che dopo
un paio di giochi di parole iniziali comincia ad abbassarsi sempre di più,
facendosi serioso con lampi di volgarità; affretta poi i tempi, ritaglia le
psicologie col machete e sorvola sulla dimensione ludica della trappola. Da un
particolare aspetto del carattere di Caine Pinter sembra però attizzato: farne
un gay latente. Se uno era acuto lo poteva notare anche con Olivier, qui bisogna
ricorrere a battute indegne di un nobel per la letteratura quali “sono
sessualmente attratto dal suo cervello”. Pazienza, un cinefilo può ricordare
Michael Caine in un altro ingegnoso “giallo con inghippo”, “Trappola mortale”,
diretto da Sidney Lumet da un dramma di Ira Levin, in cui era uno scrittore
omosessuale che seduceva Christopher Reeve perché gli uccidesse la moglie, e con
questo ammicco metacinematografico si perdona lo scivolone.
Nel terzo tempo,
il crollo. Anziché dedicarsi a una sanguinosa caccia all'indizio per coprire un
omicidio – da cui il titolo – i due cominciano a corteggiarsi esplicitamente,
finché uno resta deluso e ci scappa il morto. Niente giochi e giocattoli, niente
giallisti e investigatori, niente sfide di intelligenza e virilità. Il massimo
dell'interesse sta nella domanda “ma lo scrittore ci era o ci faceva?”. A meno
che non eravate lì ad attendere un bacio tra i due attori, attesa che tra
l'altro va delusa. E a questo punto sorge un sospetto, l'interrogativo più
intrigante di tutta la faccenda: ma Jude Law – proprio l'attore, non il
personaggio - vuole diventare il nuovo Michael Caine o vuole semplicemente
portarselo a letto?
Buona la prima.