Gli Anni pił belli

21/07/2020

Attenzione: la seguente recensione contiene SPOILER sulla trama del Film

Omaggio o remake? E’ impossibile non notare le moltissime analogie tra l’ultimo, agrodolce, film di Gabriele Muccino e il capolavoro di Ettore Scola C’eravamo tanto amati, di cui Gli Anni più belli vuole essere il proseguimento ideale, quasi i protagonisti ne fossero le ombre proiettate dai loro predecessori, che tentano di adattarsi ai nuovi tempi, con tutto il bene e il male. Muccino, nel suo film forse più riuscito grazie anche al Maestro che gli fa da guida e modello, racconta altri quarant’anni d’ Italia attraverso storie personali cui la Storia fa da sfondo e riflesso, partendo poco più in là da dove i protagonisti di Scola si erano fermati. C’eravamo tanto amati data 1974 e gli amici ex partigiani si ritrovano a constatare che volevano cambiare il mondo e invece il mondo ha cambiato loro, gli amici di Gli Anni più belli si conoscono all’inizio degli Anni Ottanta, sono una generazione diversa, con sogni e ideali forse meno grandi e già altre disillusioni al momento di partire, ma quella battuta rimane, gettata lì quando gli errori e i cambiamenti si fanno troppo prepotenti anche per loro.
Resta la nostalgia della giovinezza, del com’eravamo, quella malinconia sottile che pervade il film fin dall’inizio e che lo rende speciale, perché sappiamo che le cose cambiano e che, per citare anche King, non avremo più gli amici di quando eravamo adolescenti. E quell’estate dell’82 di Paolo, Giulio, Sopravvissù e Gemma resterà l’anno più bello.

C’eravamo tanto amati torna subito alla mente quando vediamo raccontare lo scorrere degli anni, i protagonisti che si raccontano parlando in macchina. Lo stile è quello del film di Scola, e Muccino lo mostra da subito. Poi, sempre più chiare, appaiono le analogie narrative, anche se i protagonisti vivono di vita propria e non ricalcano la psicologia dei loro modelli, anzi a volte vi si discostano in modo netto. Così Paolo ama Gemma tutta la vita, anche se gli viene sempre strappata, anche se gli viene portata via dal miglior amico, Giulio, che la delude, ma sarà lui, modesto e fedele, a sposarla dopo molti anni e molto dolore. Esattamente come l’Antonio di Nino Manfredi ama la Luciana di Stefania Sandrelli che gli preferisce Gianni/Gassman, ma poi col tempo lo dimentica mentre lui non dimenticherà mai lei. Qui Paolo (Kim Rossi Stuart) non è un infermiere ma un professore precario, un animo gentile, mentre il Giulio di Pierfrancesco Favino è il personaggio che più affinità ha col Gianni Perego di Gassman: anche lui è un avvocato che vende se stesso e i propri sogni ai compromessi e alla vita agiata, accetta di legarsi ad un suocero spregevole e in un matrimonio senza felicità (resta diverso, volutamente, il personaggio della moglie e dove là era una dolorosissima Giovanna Ralli che si trasformava per un amore mai corrisposto, qui è una Nicoletta Romanov, estranea in casa, che di moglie mantiene solo la facciata). Il terzo amico, Riccardo detto Sopravvissù ha la stessa vitalità e le stesse ambizioni che nascondono il personale disastro fallimentare del Nicola di Stefano Satta Flores, anche se Claudio Santamaria non ne eredita l’aspetto da intellettuale “verboso” e ne fa un personaggio più nelle sue corde, esuberante e istintivo con un retrogusto di tristezza. Infine, l’oggetto dei loro desideri, la Gemma di Michela Ramazzotti, ha una carica di grezza disperazione che la discosta dalla svampita Luciana.

Cambia la chiave, ma il film di Muccino ripercorre episodi e situazioni, nel contesto dei nuovi decenni, quelli che hanno marcato la sua e le nostre vite. C’è perfino la scena alla Fontana di Trevi, che già a sua volta, nel film di Scola, rendeva omaggio a Fellini. C'è l'incontro in teatro (qui all'Opera, nel film di Scola al cinema) in cui si dà all'amore una seconda occasione, e la sequenza simbolica in cui Gemma, nelle sue diverse età, ripercorre di corsa le scale alla ricerca del tempo perduto è tra le più riuscite del film. C’è il ristorante del ritrovo, che tanto ricorda quello in cui i quattro amici tornavano a mangiare i “picchiapo’” (se non è addirittura lo stesso set) e Santamaria, nel look finale, sembra più Manfredi che Satta Flores, ma perché Muccino non ripete, ma dedica. E anche il fatto di aver scelto dei “cavalli di razza” del Cinema Italiano, non è forse voler tracciare un fil rouge tra i grandi di allora e di oggi?

Prende in  prestito altre citazioni da La Famiglia, altro, bellissimo, film di Scola che racconta decenni d’Italia e il mutare del tempo attraverso il ritratto di un gruppo di persone. Cita, come anche nello stesso titolo, Claudio Baglioni perché anche la musica che accompagna il film è motivo di ricordo. E se vogliamo divertirci ad andare di citazioni c'è perfino Birdy di Alan Parker.

Ed infine c’è la rimpatriata, il ritrovarsi dopo tanti anni e cambiamenti. E qui Muccino cerca un finale meno amaro e forse zoppica un po’. Non tanto nel rapporto tra i quattro amici, che è bello che sia così, perché il ricordo che ci unisce è qualcosa difficile a morire, nonostante tutto. E’ il rapporto coi figli che sa un po’ di pennellata buona, per non lasciarci andar via col senso della desolazione. Tuttavia quel brindare “alle cose che ci fanno stare bene” di Paolo, Giulio, Gemma e Soopravvissù è un “lieto fine” che ci colma gli occhi di lacrime di commozione.

Gabriella Aguzzi