Le due facce di Batman

24/07/2008

Un film tratto da Batman pone subito un interrogativo: quale Batman? Quello di Bob Kane, classico, o quello, postmoderno, di Alan Moore?
Finora, la scelta era caduta sul primo. Anche per Tim Burton, sì: nonostante avesse vestito l'uomo pipistrello di nero e non con la tutina grigiazzurra (né tantomeno quella rosa!), avesse creato una Gotham City oscura assai simile alla Los Angeles di Blade Runner,  rivoluzionaria rispetto all'immaginario dell'epoca, e avesse affiancato al nostro eroe degli antagonisti ambigui quali Penguin e Max Schreck anziché i ridicoli compagni Robin e Batgirl, alla fine risultava rassicurante e “bidimensionale”, come se gli incubi appartenessero solo al regista, ma non al suo protagonista. Insomma, Burton era un “cattivo”, e Batman l'eroe senza macchia con cui esorcizzare le paure infantili.
Christopher Nolan, invece, segue il percorso psicoanalitico di Alan Moore e presenta un Batman dall'anima nera, un fuorilegge reietto e dannato, un uomo sull'orlo delle schizofrenia ( e che, tra l'altro, non è nemmeno troppo giusto e simpatico nemmeno nella sua personalità “chiara”): insomma, è quasi di un villain di cui noi dobbiamo fidarci, perché il mondo attorno a lui è ancora più terrificante e crudele. Tutto ciò, curiosamente, mentre dipinge Gotham City in modo assai più definito e luminoso e concede all'eroe una serie di gadget degni di 007, come se portasse la doppia personalità dell'eroe nello stile stesso del film.
L'ultimo film di Nolan, “Il cavaliere oscuro”, presenta poi, ancor più chiaramente del precedente Batman Begins, un'altra schizofrenia, e questa riguarda la “qualità” del suo essere fumettistico.
Facciamo un passo indietro e pensiamo a vari film tratti da comics e graphic novels. Quale linguaggio li caratterizza? Se sono ben fatti, quello dei fumetti. Esempi: l'”Hulk” di Ang Lee spesso presenta lo schermo tripartito, come una pagina suddivisa in vignette; in “Era mio padre”,  Sam Mendes ha optato per  inquadrature che sono dei veri e propri “quadretti”; “From Hell” ha il ritmo e lo style del libro; “300” e “Sin City” ricalcano addirittura maniacalmente le illustrazioni, trasformando i film in veri e propri cartoni animati con attori anziché disegni; il “Dick Tracy” di Warren Beatty ha personaggi  bidimensionali e caricaturali come nel fumetto; e via dicendo.
Ora pensiamo a “Dark Knight”. Tutta la parte che riguarda il personaggio di Harvey Dent potrebbe essere ridisegnata, e avremmo il fumetto. Pensate all'inquadratura del suo volto nella benzina,ad esempio, o il momento in cui si gira col volto deturpato e lancia un grido: sembra di leggergli sopra la scritta “ARGH!” dentro a una nuvoletta!. Per non parlare della sequenza  in ospedale: vignetta che apre la pagina, un'infermiera di schiena; vignetta accanto, l'infermiera si gira e svela uno sguardo mefistofelico: sblam!, il fuoco esce dalla pistola; vignetta in fondo alla pagina: l'infermiera ha abbassato la mascherina e rivela in pieno il viso di Joker.
Ma le scene con Batman, proprio quelle con l'eroe, no. I televisori su cui scorrono le immagini dei cellulari, il volo a Hong Kong, le scene d'amore, gli scontri con la mafia: tutto attinge ad un immaginario da film o telefilm d'azione, un po' Mission Impossible, un po' Jason Bourne, un po' Miami Vice, e quasi sfugge la somiglianza tra Bruce Wayne/Batman con quella di un altro supereroe apparso recentemente sugli schermi, Ironman. Come se Nolan ci suggerisse che, dietro a un apparente dramma psicologico, si nasconde solo un comic book, mentre dove noi vediamo un eroe dai poteri superiori in realtà ci troviamo di fronte solo ad un uomo, con tutti i suoi problemi. E il cupo avanzare di Joker in mezzo alla strada devastata dalle auto che bruciano trascende il fumetto e ci porta nel campo dei Guerrieri della notte o di Fuga da New York. Film “altri” rispetto ai fumetti, ma che in qualche modo hanno attinto il loro linguaggio dai comics. E il cerchio si chiude.

La recensione del film

Altri articoli su Batman in Incontri e Antologia del diverso

Elena Aguzzi