I Super non muoiono mai
02/12/2018
L’Uomo Ragno (al secolo Peter Parker), i Fantastici Quattro (Reed Richards, Sue & Johnny Storm, Ben Grimm), poi Thor, Hulk, Iron Man, Submarine, gli X-Men. A elencarli, a ripensarli uno per uno, così diversi e così caratterizzati, ognuno con la sua personalità, non si può – retrospettivamente – non rimanere sorpresi per la quantità e la qualità creativa di questo mondo Fantastico, ormai parte di un immaginario collettivo transgenerazionale, migrato con buona fedeltà dagli albi illustrati (formato quasi-A4, carta semiruvida, colori un po’ stereotipati, paginazione minima, rilegatura minimalista) al cinema a tutto schermo; dal lento centellinare segretamente (pagina per pagina) l’albo settimanale, al ritmo incalzante di quell’ora e quaranta di film, sempre spettacolare e coinvolgente.
Ma, soprattutto, questo corpus narrativo, così vario nella caratura, ma così coerente nello stile, è riuscito felicemente a migrare dalla generazione dei baby boomers (come il sottoscritto) ai Millenials e oltre. Vedi anche alla voce: figlio adolescente, aficionado della Marvel.
La Marvel, in Italia nota come Marvel – Corno, ha introdotto e sdoganato nel Mondo, ed anche qui in Italia (tutto sommato in questo siamo stati niente affatto provinciali…) un medium – il fumetto – ed un genere (superomistico) altrimenti facilmente relegabili come ‘lett(erat)ura di genere’, all’intrattenimento puro e semplice. L’invenzione geniale, senza precedenti, è nella problematizzazione dei personaggi, il loro avere (anche) i problemi quotidiani di noi “babbani” (sic), dai sofferti amori post-adolescenziali, con contorno di bullismo (subito) di Peter Parker/Spiderman, alle ansie da maternità di Sue Storm-Richards (la Donna Invisibile); dalla cronica insicurezza sentimentale della Cosa (il numero quattro dei Fantastici), all’amore difficile di Medusa per Black Bolt (si, c’erano anche gli Inumani, nella loro segreta città … erano i miei preferiti).
Insomma una galleria di personaggi molto simpatici o semplicemente odiosi, con profusione di poteri – benigni o maligni che fossero – sempre fantasiosi e incredibili (dall’inquietante Uomo Sabbia al sorprendente Antman), invischiati con i problemi – quelli si, sempre credibili – del qualunque adolescente medio.
Un arsenale di inventiva e di spunti quasi inesauribile, che finalmente ha trovato – con la Marvel Studios - degna (e credibile) rappresentazione al cinema, grazie alla computer grafica: che liberazione e che soddisfazione poterli finalmente vedere (e non più leggere) volare e combattere nel ‘nostro’ mondo, nelle coreografie urbane già abbozzate sullo sfondo di quelle tavole colorate, già dal taglio cinematografico.
Originale e ostinato, Stan Lee fu in grado di rivoluzionare il mondo (e il mercato) dei fumetti superomistici, trasformando la piccola Timely Comics nel colosso Marvel Comics, rivoluzionando spensieratamente tutto: la caratterizzazione dei personaggi, la sceneggiatura, persino lo stesso metodo di lavoro compartimentato (tra sceneggiatori e disegnatori), già tipico dell’editoria dell’epoca. In grado di sfidare la potente e puritana authority per il Comics Code (cane da guardia dei moralisti per i fumetti), riuscì a imbrigliare – non sempre senza screzi – la creatività di grafici di spicco come Steve Ditko e Jack Kirby.
E sono questi – con il suo - i nomi ricorrenti negli incipit delle storie, spesso incorniciati da appellativi scherzosi o iperboli autoironiche (“Scritto nel calor bianco dell’ispirazione da Stan Lee” e “Disegnato in una selvaggia frenesia d’entusiasmo da Steve Ditko”), sono questi i nomi a campeggiare nella prima pagina di ogni numero di Spiderman o dei Fanstatic Four.
Ed erano, per noi, il sigillo di qualità, la promessa di un’altra coinvolgente storia, tra epici scontri e battute fulminanti, frustranti sconfitte e trionfi finali. Quella prima pagina Il viatico per l’ennesima escursione nel fantastico, tra mondi sottomarini o glaciali, attraverso universi e galassie violenti e spettacolari oppure tra le guglie e i grattacieli della metropoli.
Sfogliando in silenzio assorto o riverente quelle pagine, uscivamo di soppiatto dal reale per entrare nel super, scoprendo senza poi troppa sorpresa che Peter Parker o Bruce Banner non erano poi così perfetti e invulnerabili, che la loro forza o i loro poteri, dovunque e comunque, dovevano fare i conti con le emozioni, gli affetti, i problemi: spesso anche di identità, anzi, quasi sempre era proprio il loro essere “super” a condannarli ad una normalità dolorosa, alle vicende complicate e frustranti di un alter ego normale e magari sfigato.
Rimane, in tutto questo, il segno e il disegno di un uomo – Stan Lee – che ha rovesciato per noi il mondo perfettivo e un po’ snob (rigido, cartonato) dei supereroi ex-ante, eludendo gli stereotipi e colorando di sfumature quei caratteri così diversi, ma così simili, conflittuali.
Ci lascia quindi, Stan Lee, in buona compagnia: una folla di eroi e di cattivi, un serbatoio immaginifico ancora tutto da (ri)scoprire: a novantacinque anni, ancora arzillo e strafottente (vedi i suoi immancabili camei praticamente in tutti gli ultimi film Marvel) esce di scena per una banale polmonite.
E se, commemorandolo, ci piace pensare ad un addolorato “Spidey” (leggi Spiderman), in piedi contro il tramonto tra lo skyline di New York, ci consola pensare che, tra l’Atlantide di Namor-Submariner, la Asgard di Thor (e Lokhi, infido ma decisamente più simpatico…) o la Latveria del Dottor Destino, non gli mancheranno certo luoghi dove continuare a curiosare.
Thank You Stan, and have a nice trip
Davide Benedetto