Omaggio a Paolo Conte

24/09/2014

A colloquio con Ernesto Capasso, autore del volume Paolo Conte. Il viaggiatore dei paesaggi cantati (Arcana 2013): in chiusura, un pensiero di Lina Wertmuller.

Cos’ha spinto Paolo a iniziare a scrivere canzoni portate poi al successo da artisti quali Adriano Celentano, Enzo Jannacci e Bruno Lauzi?
Paolo Conte inizialmente non pensa a cantare le sue canzoni, immagina di rimanere dietro le quinte a scrivere per altri interpreti. Studia Giurisprudenza a Parma, dove si laurea, inizia a lavorare come avvocato, ma fin dall’adolescenza manifesta il suo amore per la musica in particolare per il jazz che scopre grazie al papà Gigi, notaio e pianista dilettante e alla mamma Tina, entrambi appassionati delle sette notte. Questa passione viene trasmessa a Paolo e al fratello più giovane Giorgio. I fratelli Conte cominciano a scrivere canzoni a quattro mani. La prima risale al 1964, si chiama Ed ora te ne vai, viene incisa da Vanna Brosio. Il 1968 è l’anno della svolta, Paolo Conte scrive insieme a Vito Pallavicini, una canzone che cambierà la sua e la nostra vita: Azzurro.

Cos’ha spinto Paolo a diventare interprete delle sue canzoni?
All’inizio Paolo Conte, alla luce anche del suo carattere schivo e poco incline alla notorietà, preferisce rimanere nell’ombra a scrivere per altri interpreti. Nel 1974 avviene il grande passo, complice il produttore Lilli Greco. Le sue melodie hanno una connotazione così unica e particolare da richiedere un’interpretazione che soltanto l’autore può dare. Paolo Conte accetta di cantare le sue canzoni. Le prime registrazioni avvengono a Torino e non negli studi della RCA sulla via Tiburtina a Roma per esplicita richiesta dell’autore. Vi partecipano pochi fidati musicisti e il Duo Fasano, un duo vocale in auge negli anni Cinquanta.
Il 2014 segna i quarant’anni dall’uscita del primo disco come autore e interprete dell’artista piemontese che porta semplicemente il suo nome. Un album che mi è particolarmente caro, forse proprio per quella “artigianalità” di suoni e atmosfere che lo contraddistingue. Vi sono canzoni molto belle e poco conosciute dal grande pubblico, una su tutte: La fisarmonica di Stradella. La vocalità di Conte nei primi album è ancora acerba, ma il suo stile già risulta originalissimo.

Da Paolo Conte (1975) a Un gelato al limon (1979), da Paris Milonga (1981) a Appunti di viaggio (1982), da 900 (1992) a Una faccia in prestito (1995), da Razmataz (2000) ad Elegia (2004) e Psiche (2008), da cos’ha tratto ispirazione Paolo per i suoi album più rappresentativi?
Difficile dire che cosa muova i fili dell’ispirazione di un artista come Paolo Conte. Dallo studio che ne ho fatto nel mio libro ritengo che nella poetica dell’artista siano frequenti alcuni temi: innanzi tutto l’uso del colore come punteggiatura visiva e contesto narrativo. Conte ama dipingere non soltanto sulla tela ma anche sul pentagramma, basti pensare all’opera Razmataz. Questa predilezione si manifesta nelle canzoni che sono ricche di richiami cromatici. Di Azzurro abbiamo già detto, ma mi piace ricordare tra le melodie “colorate”, fra le tante: Alle prese con una verde milonga e un verso del brano Sandwich man: “La domanda è rosso fuoco e la risposta è blu”.
Un altro tema ricorrente nella poetica dell’artista è quello del paesaggio. Paolo Conte è uno dei pochi scrittori di canzoni capace di raccontare paesaggi esteriori e interiori. Pensiamo a Genova per noi che mette in musica il sentimento di spaesamento e disorientamento che colpisce un uomo dell’entroterra di fronte alla mutevolezza e dinamicità del paesaggio marino.
Inoltre molte opere del compositore trasmettono all’ascoltatore il senso di un’attesa, di qualcosa che sta per accadere, una vigilia di suoni e parole in grado di evocare suggestioni sonore e letterarie speciali, penso a brani come: Via con me, Novecento, Hesitation.
Infine un tema molto presente nell’ispirazione di Conte è il cinema. Alcune delle sue canzoni sono dei piccoli film, penso a Onda su onda, ad Aguaplano, a Boogie, ma anche a Lo zio, Sandwich man, Un fachiro al cinema, dove il cinema appare non soltanto come suggestione sonora ma anche come elemento narrativo. Tra l’altro Conte ha scritto molte colonne sonore, tra le altre mi piace ricordare Tu mi turbi, l’esordio alla regia di Roberto Benigni e La freccia azzurra, il racconto di Gianni Rodari, portato sullo schermo da Enzo D’Alò.

Qual è l’approccio di Paolo alle esibizioni live?
Gli spettacoli di Paolo Conte così come i suoi dischi dal vivo non sono mai una mera ripetizione di quelli in studio, ma una continua reinvenzione di suoni e atmosfere. Tra le varie esecuzioni live vorrei consigliare l’ascolto della versione del brano Diavolo rosso pubblicata nel live dall’Arena di Verona, un vero capolavoro. Grazie alla felice alchimia con i suoi musicisti, Paolo Conte dal vivo riesce sempre a sorprendere. Con il tempo ha assunto il ruolo, come accadeva nelle vecchie orchestre jazz, di vero e proprio capo orchestra, autore non soltanto della musica e delle parole ma anche degli arrangiamenti e delle orchestrazioni.

Quali sorprese ci riserva ancora la carriera di Paolo secondo lei?
Ad ottobre arriverà nei negozi, a quattro anni da Nelson, il nuovo album di inediti a cui seguirà un tour europeo che toccherà anche l’Italia, tra le tappe, tre serate al Sistina di Roma, a dicembre, c’è da scommettere che sarà “tutto un complesso di cose” da vivere e sentire.
Chiudiamo questo pezzo con il piccolo ma significativo contributo di Lina Wertmuller, che chiamò Paolo Conte a comporre la colonna sonora di due sue pellicole: Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante di strada e Sotto... sotto... strapazzato da anomala passione. “L’ho scelto perché mi piace molto il suo lavoro: durante la lavorazione di entrambi i film, la nostra collaborazione è stata ottima bellissima. Lo considero un uomo molto geniale e affascinante: adoro le sue canzoni, sono una meglio dell’altra”.

Alessandro Ticozzi