
A colloquio con Maurizio Lauzi, figlio del grande cantautore genovese.
Papà fu esponente con Umberto Bindi, Fabrizio De André, Gino Paoli e Luigi Tenco della scuola genovese: com’era il rapporto con i suoi colleghi?
Innanzitutto c’è una piccola premessa da fare, a cui Papà teneva molto. Faceva ridere sia a Papà che a Gino e a tutti loro questa cosa della scuola genovese dei cantautori, perché effettivamente loro erano tutti autodidatti: non solo, ma iniziarono anche con strumenti vari. Luigi Tenco suonava il clarino, mio padre il banjo, Paoli si divertiva alla batteria… D’altra parte dell’Oceano arrivava già la musica americana di Bob Dylan e di quelli che le canzoni se le scrivevano: quindi loro hanno cominciato a seguire questa scia. Il rapporto tra di loro era buonissimo: mio padre era più amico di Luigi che di tutti gli altri, essendo stati anche in classe insieme, però in generale erano tutti molto uniti. La canzone di Paoli Quattro amici rappresenta un po’ anche quel momento, ma tutti loro - ognuno a sua volta e a suo modo - hanno cantato degli altri in qualche modo e hanno anche scritto insieme, come per esempio mio padre e Umberto.
Cosa spinse Papà ad avvicinarsi a modelli francesi e brasiliani?
A Genova arrivavano le navi con gli americani al porto, per cui portavano il jazz e queste grandi musiche: arrivavano così le musiche d’oltreoceano. Loro poi s’incuriosivano: c’erano le orchestre degli anni Cinquanta e Sessanta, ma poi lui con la sua cultura si è allargato. Adorava Gershwin per esempio, nonché tutti i musical degli anni Trenta e Quaranta: mi ha insegnato ad amare e rispettare Fred Astaire e Ginger Rogers, e le grandi musiche di Rodgers e Hart, di Cole Porter e di Irving Berlin. Quindi ha sempre ascoltato grandi autori: la Francia l’ha sempre affascinato, perché ha avuto modo anche di tradurre Lo straniero di Georges Moustaki, lavorando poi anche con Serge Reggiani, e ha conosciuto Yves Montand e Charles Aznavour. Lui aveva questa grande cultura musicale che veniva da una grande curiosità, e quindi poi le cose sono venute da sole evidentemente. La stessa cosa vale per il Brasile: lui ha avuto dei rapporti di amicizia con Vinicius de Moraes e Toquinho, e aveva una bellissima collaborazione con Sergio Bardotti, con il quale tra l’altro anch’io ho collaborato per la famosa sigla di Sanremo Perché Sanremo è Sanremo, che ho cantato io e la cui frase nasce da un idea loro, ma viene poi modificata da me. Proprio in quell’occasione ho conosciuto e poi riconosciuto da grande Sergio Bardotti, che è stato il grande traduttore del bellissimo disco della Vanoni con Toquinho e Vinicius La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria, che ha fatto la storia della musica brasiliana in Italia, ma anche più in genere. Mio padre ha collaborato anche con Ivan Lins per una cosa che poi sarebbe dovuta andare in scena, ma poi lui è mancato: tutto nasce dalle amicizie, dalla voglia di cultura e dai giri che hanno fatto per il mondo, perché comunque andavano in Brasile e quindi hanno respirato la cultura brasiliana anche sul posto. Io a casa ho avuto Toquinho e Vinicius che mi giravano in camera e mi facevano le ninne nanne quando avevo sette anni, per cui comunque è sempre stato un respiro naturale.
Come mai Papà - caso più unico che raro nel cantautorato italiano - alternava nel suo repertorio canzoni di cui era anche autore (valga per tutte quella forse più celebre, Ritornerai) a pezzi composti per lui da altri, come E penso a te e Amore caro amore bello di Mogol-Battisti?
Aggiungerei anche L’aquila del ‘73, sempre di Mogol-Battisti, ma ce ne sono tante altre: lui cantò anche cose di Alberto Radius e della Formula Tre, che usciva allora con il bellissimo disco Dies Irae, ma anche di Paolo Conte, e quindi Genova per noi, Onda su onda e Bartali. C’è un aneddoto carino su Bartali: Paolo Conte nell’81 chiama mio padre a casa sua ad Asti per fargli sentire Bartali, ma effettivamente l’ha appena incisa su un piccolo registratore mono e lui non ha voglia di risuonarla; così ci mettiamo intorno a un tavolo e la ascoltiamo direttamente nella registrazione fatta poco prima. Queste collaborazioni nascono anche con la voglia di rapportarsi e di scambiarsi opinioni: pensiamo alla collaborazione con Dario Baldan Bembo per Piccolo uomo o a quella con Maurizio Fabrizio per Almeno tu nell’universo, entrambi canzoni cantate da Mia Martini. Oltretutto lui è forse l’unico che ha scritto una cosa per il primo Bennato: Lei non è qui non è là del primo disco di Edoardo, edito dalla Ricordi nel primi anni Settanta. L’interazione tra artisti è una cosa quasi doverosa: lui era abituato a scrivere per altri, ma anche contento quando gli altri pensavano a lui, come quando Mogol l’ha pensato per primo per E penso a te e Amore caro amore bello. Sono state comunque due sue fortune, anche se lui ha avuto più fortuna con le canzoni per bambini: ma questa è un'altra fase della sua carriera.
A otto anni dalla scomparsa, cosa Le manca di più di Bruno come padre e come cantautore?
Questa è la domanda che mette a fuoco tutta la faccenda. Come padre mi manca la sua risata, i suoi consigli, la sua trasparenza e una bella dose di saggezza, nonché anche il continuo volere scoprire le cose. Tutta questa positività nel voler sapere, parlare e nel poter dare consigli o dispensare qualche bell’aforisma inventato al momento: quello mi manca molto di lui come padre. Come musicista mi manca il rapporto che comunque avevo con lui, perché abbiamo scritto insieme Il tempo per vivere e Dieci belle canzoni d’amore, che ha dato il titolo a un bellissimo album di qualche anno fa dove lui canta molte canzoni di altri, tra cui Il cielo in una stanza di Gino e Scrivimi di Buonocore. Abbiamo scritto insieme brani per bambini, e lui ha cantato due canzoni mie: Deluso, altruista e innamorato e Sogni d’oro, tra l’altro incidendole con Andrea Braido, il chitarrista di Vasco. Mi faceva esibire dal vivo: quindi io cantavo Il poeta o Ritornerai magari al posto suo e lui stava a guardarmi ammirato - magari appoggiato alla tastiera o al pianoforte che fosse - e guardava il pubblico come a dire: “Com’è bravo mio figlio”. Questo mi manca: il rapporto musicale e la stima che lui aveva per me, che non era meno ovviamente della grande meraviglia che io avevo per lui semplicemente guardandolo e ascoltandolo.