Omaggio a Luigi Tenco

20/10/2014

A colloquio con Marco Santoro, autore di Effetto Tenco (Il Mulino, 2007). In chiusura, il contributo di Francesco Baccini.

Luigi Tenco è cresciuto ascoltando grandi artisti jazz quali Jelly Roll Morton, Chet Baker e Gerry Mulligan: cosa lo spinse ad avvicinarsi negli anni Cinquanta alla canzone d’autore?
Tenco è cresciuto ascoltando la musica che “andava” negli anni della sua giovinezza, incluso quindi certo jazz che circolava da tempo anche in Italia - e circolava anche alla radio e poi in televisione – e  naturalmente il rock’n’roll che arriva da noi sull’onda di film americani di successo soprattutto tra il pubblico giovanile che proprio allora iniziava a costituirsi in quanto tale (cioè “giovanile”), come Il seme della violenza e L’orologio matto, e soprattutto dei jukebox.
Tenco ha iniziato la sua carriera nel mondo della musica suonando il sax in formazioni jazz e poi rock’n’roll. In effetti non erano così evidenti come sarebbero stati poi (ed erano anche allora negli Stati Uniti) i confini tra i due generi, entrambi americani e fortemente ritmati. Non è esatto dire che Tenco “si è avvicinato alla canzone d’autore” perché questa espressione è stata coniata solo dopo la scomparsa di Tenco e sull’onda del suo suicidio. E un genere culturale, ovvero artistico, in quanto sistema di segni e simboli, esiste solo nel momento in cui viene identificato e quindi nominato. In un certo senso, come ho cercato di dimostrare nel mio libro Effetto Tenco, quel suicidio è stato la condizione necessaria perché qualcosa come una “canzone d’autore” si formasse e si diffondesse sino a diventare una categoria - estetica ma anche politica - riconosciuta e per così dire legittimata e di uso comune nella vita culturale e potremmo dire anche intellettuale italiana. Quello che è accaduto è che Tenco come altri della sua generazione, a Genova ma anche a Milano e a Roma, hanno iniziato a scrivere e cantare canzoni in italiano mescolando influenze straniere (la chanson francese, la ballata americana ecc.) con la tradizione italiana (a sua volta differenziata regionalmente, con la forte presenza della canzone napoletana che per quanto apparentemente lontana costituiva comunque un riferimento quasi naturale). Come per molti altri, De Andrè ad esempio, fu importante come momento di rottura e indicazione di un percorso possibile, la presentazione e poi vittoria nel 1958 a Sanremo di Nel blu dipinto di blu, di Modugno, che molti identificano come il primo
cantautore, o comunque come il “padre” dei cantautori degli anni Sessanta. Anche la figura del cantautore comunque è successiva, nel senso che mancava sino ai primi anni Sessanta un termine e quindi un concetto per identificare questo personaggio del mondo della canzone (cantante di canzoni da lui stesso composte, che con quelle canzoni quindi si
identificava e si esprimeva), le cui radici affondavano peraltro ai primi del Novecento, con figure come ad esempio Armando Gill (napoletano) e Odoardo Spadaro (che era fiorentino).
In che cosa si differenziano i brani di Luigi dallo standard delle canzoni degli anni Sessanta?
Non è facile dire quale sia lo standard delle canzoni degli anni Sessanta visto che negli anni Sessanta il mondo della canzone italiana è in piena ebollizione e trasformazione sull’onda appunto dell’arrivo anche in Italia del rock e poi del beat da un lato, e dall’altro delle innovazioni portate al modello della canzone italiana (che si era andato stabilizzando nel
secondo dopoguerra con i primi successi di Sanremo) appunto dai primi cantautori. Tenco era uno di questi - insieme a figure per certi versi anche più innovative come Paoli e Jannacci (ma anche Bindi, Endrigo, Gaber, Lauzi, De Andrè ecc.). Rispetto al modello della canzone italiana
anni Cinquanta - un modello che appunto si definisce tra Sanremo e la radio italiana (con la presenza determinante di direttori d’orchestra radiofonici come Cinico Angelini e Pippo Barzizza) e che ha in Nilla Pizzi, Gino Latilla e Claudio Villa i suoi più noti interpreti – le canzoni di Tenco, come quelle di altri cantautori della prima ora, si caratterizzano per innovazioni di forma musicale (ad esempio nella struttura della canzone stessa, nel tipo di relazione tra strofa, ritornello, “ponte” ecc.) e letteraria, ovvero nel testo, nelle liriche:
sono canzoni che parlano di situazioni della vita quotidiana, con attenzione per problemi esistenziali - si pensi al tema della noia che figura in diverse canzoni tenchiane - ma anche sociali (Tenco in particolare si dedicherà a canzoni che io definisco sociologiche, si pensi
a pezzi come La ballata della moda o Giornali femminili o appunto Vita sociale), usando un linguaggio essenziale, scarno, provocatorio, ma anche ricercato - non dimentichiamo che Tenco, come altri cantautori, apparteneva ad una generazione che stava conoscendo non solo il boom economico e l’espansione dei consumi (e del consumismo) ma anche l’espansione della scolarizzazione, e che diversi di loro avevano fatto il liceo e alcuni, tra cui Tenco stesso, frequentavano l’università e avevano esperienza di cerchie intellettuali trasversali rispetto al mondo della canzone, nella pittura, nel cinema, anche nella letteratura.  Soprattutto, si tratta di canzoni che parlano spesso in prima persona e si presentano come prese di posizione rispetto al mondo. Una delle qualità di questo tipo di canzone, vero criterio di valutazione anche all’interno del mondo della canzone d’autore, è l’autenticità - che è qualcosa di più della credibilità. In questa ricerca di autenticità Tenco, soprattutto Tenco direi ma non solo lui, cerca appiglio nel recupero anche di certi moduli e forme della canzone folkloristica, che proprio a metà anni Sessanta era al centro del cosiddetto folk revival (si pensi allo spettacolo
Bella ciao del ’64 e alla nascita del Nuovo Canzoniere Italiano, intorno a studiosi come Gianni Bosio o Cesare Bermani, e artisti militanti come Ivan Della Mea).
Cosa spinse Luigi a togliersi la vita nel corso del XVII Festival di Sanremo?
Questa domanda non ha risposta, almeno per me. Le ragioni di un suicidio sono molteplici, di natura profonda e occasionale. A giudicare dal biglietto che ha lasciato, la ragione era manifestare in modo estremo un dissenso rispetto al festival e più in generale il mondo della canzone italiana (pubblico incluso). Un suicidio di protesta quindi. Un sacrificio. Più che alle sue “ragioni”, è alle sue “conseguenze” e ai suoi “effetti” che si deve guardare secondo me. E gli effetti sono stati notevoli: in breve, quel suicidio, per come è stato presentato e per come è stato interpretato (cioè appunto come atto di denuncia e di protesta nei confronti della macchina sanremese e in genere dell’industria discografica e delle sue contraddizioni) ha dimostrato che la canzone poteva essere una cosa seria, una cosa per cui valeva la pena impegnarsi con la propria identità e quindi con la vita nel momento in cui quella identità e il relativo impegno non fossero stati adeguatamente riconosciuti.
Da Lontano lontano a Ho capito che ti amo, da Mi sono innamorato di te a Vedrai vedrai, come mai le sue canzoni migliori sono state riscoperte e generalmente apprezzate dopo la sua morte secondo lei?
Questo è uno dei meccanismi più comuni nel mondo dell’arte, basta pensare a Van Gogh. O a Mozart e ai tanti che hanno dovuto attendere la morte perché venisse riconosciuto il loro talento o genio dal grande pubblico e spesso anche dalla critica ufficiale. Come detto, una morte - specie un certo tipo di morte, come il suicidio - contribuisce a dare
significato e quindi valore ad un’opera, letteraria o musicale o pittorica che sia. Poi contano anche gli altri, ovvero quelli che sono vicini all’artista e che dopo la morte si danno da fare per conservare e se possibile migliorare la memoria del morto e del suo lascito. Questo è un processo tipicamente studiato dalla sociologia dell’arte. Comunque, c’era anche una critica favorevole a Tenco quando lui era ancora in vita – la stessa critica che poi appunto avrebbe partecipato alla fondazione nei primi anni Settanta del Club Tenco con tutto quello che ne consegue.
Come nacque, e che tipo di sviluppo ha avuto negli anni, il Premio Tenco?
Appunto, nacque sull’onda dell’emozione per la morte tragica di Tenco, e ne
fu principale artefice un signore di nome Amilcare Rambaldi, che di professione faceva il grossista di fiori a Sanremo, ma che da giovane (si era negli anni del dopoguerra) aveva contribuito in modo determinante alla ideazione del Festival di Sanremo. Di Club Tenco ce ne sono stati due, peraltro. Il primo venne fondato a Venezia subito dopo il suicidio, ed era
un’associazione di fan. Il secondo, più longevo e che ha istituito il Premio Tenco, è nato qualche anno dopo anche dalle ceneri del primo, con più mezzi e un progetto di maggior respiro: non tanto preservare la memoria di Tenco ma lavorare perché il tipo di canzone di cui Tenco era stato un pioniere venisse valorizzato, diffuso, e si potesse imporre al
pubblico e alla critica come una canzone “migliore”, di “qualità”. A differenza di Sanremo, la Rassegna della canzone d’autore, cioè il festival in cui vengono assegnati i Premi Tenco, non è una manifestazione competitiva, e questo proprio come reazione di contrasto a Sanremo e alle
sue logiche. Il Club Tenco non è neppure un’impresa commerciale, ma un’associazione culturale basata sul volontariato, incluso quello degli artisti anche di fama che lo frequentanti (come in passato Guccini, Conte e Vecchioni). Nel corso del tempo i Premi Tenco sono stati attribuiti a praticamente tutti coloro che vengono oggi riconosciuti - spesso dopo il
Premio - come i più autorevoli e talentuosi autori e interpreti di canzoni - non solo cantautori, ma anche musicisti e interpreti. Cosa definisca esattamente la qualità che una canzone deve avere per essere apprezzata e premiata è difficile dire, nel senso che è l’esito in movimento di un processo di interpretazione che appunto il Club Tenco orchestra, con la
sua selezione annuale di dischi e con la sua giuria di qualità che è composta di oltre un centinaio di operatori musicali, soprattutto giornalisti musicali. Un Premio Tenco è un ambito riconoscimento per chi opera nel campo della canzone d’autore, un campo peraltro che lo stesso Club Tenco ha contribuito in misura notevole a generare e istituzionalizzare nel corso degli anni muovendo dalla riflessione e identificazione di quello che è per certi versi anch’esso un modello - che come tale include ma anche esclude (per esempio, esclude tutto il mondo della canzone cosiddetta “pop”, incluse alcune espressioni che pure potrebbero apprezzarsi per alcune loro qualità artistiche ma che risultano, a giudizio evidentemente soggettivo di chi i Premi li attribuisce e gli inviti alla Rassegna li decide, troppo contaminate da esigenze di commerciabilità e fruibilità immediata). Direi che il maggior successo del Club e del Premio è l’aver contribuito in modo determinante a costruire e legittimare un certo modo di fare canzoni – o meglio un certo mondo della canzone - in cui valori come autenticità, profondità, ricerca, riflessione, denuncia, provocazione anche, contassero più di quelli della profittabilità, della smerciabilità e dell’intrattenimento facile che tendono a dominare nel mondo, ovvero nel mercato, del disco e in genere della musica cosiddetta "leggera". I Premi Tenco hanno aiutato a costruire un mercato di canzoni per cui spesso si fa fatica a trovare il mercato.
A quasi cinquant'anni dalla tragica scomparsa, cosa rimane secondo lei di Luigi come uomo e come cantautore?
Rimane molto più di quello che appare a prima vista. Quando a lezione parlo di Tenco ai miei studenti che hanno adesso vent’anni, sono pochi quelli che sanno chi è. Non sanno neppure però che senza Tenco quasi certamente non esisterebbero cantanti e canzoni che conoscono benissimo e che amano, come quelle di Vasco Rossi o di Ligabue o di Vinicio Capossela.
E questa eredità rimanda non solo alla sua opera - che è composta di grandi canzoni, come quelle che ha ricordato prima, ma anche di pezzi molto meno riusciti e a volte banali (per dire, Ciao amore ciao, la canzone portata a Sanremo, è per molti critici e ascoltatori esempio di
una canzone non riuscita, accomodante, sin troppo subalterna al modello sanremese) - ma anche alla sua personalità e in un certo senso al suo esempio come uomo, emotivamente fragile forse ma anche forte e determinato, capace di slanci e soprattutto di avere un ideale, un
progetto. Per la cui riuscita, per la cui realizzazione, poteva valer la pena di morire.

Chiudiamo questo pezzo con il contributo di Francesco Baccini, che tre anni fa propose un tour  - con relativo album dal vivo – dedicato a Luigi Tenco:

“Per chi conosce bene il mio repertorio, l'ironia  è solo uno degli aspetti della mia produzione: essendo molto sfaccettato, ho diverse anime, tra cui quella intimista, quella di Ho voglia di innamorarmi o di Ti amo e non lo sai per intenderci . Esattamente come Luigi, che non era solo il cantautore triste e intimista, ma aveva una vena ironica e sociale che poco e' conosciuta.
Quindi la scelta è stata assolutamente naturale: purtroppo in Italia si viene sempre etichettati e, come ho potuto constatare durante il tour, di Tenco la gente conosce abbastanza poco.
Luigi è stato il primo cantautore a scrivere canzoni ironiche, sociali e a parlare d'amore in modo rivoluzionario: ha aperto la strada a tutto il cantautorato, ma questo non è passato alla storia.
L' idea del tour è nata proprio dal fatto che un cantautore lo si capisce veramente solo nei concerti e Luigi, morendo nel ‘67, non ne ha mai fatto uno: quindi mi sono immaginato una sua ipotetica "scaletta" e ho portato Luigi a spasso per i teatri.
L'approccio è stato non quello di fare un requiem (come si fa di solito quando si parla di Tenco), ma al contrario di dare vita a quelle musiche e a quelle parole che a cinquant’anni di distanza sono ancora vive e vegete.
Il concerto  è stato  arrangiato da me con  Armando Corsi , uno dei più grandi chitarristi italiani: abbiamo cercato di rivestire le sue canzoni senza stravolgerle, cercando di dare sonorità più moderne ai brani in maniera minimalista.
Il messaggio e l'eredita che Tenco ci lascia è quella di un uomo ed un artista contro gli stereotipi, un rivoluzionario, un intellettuale che come Pasolini voleva farsi capire dal pubblico: quindi non usava intellettualismi, era uno pericoloso insomma.
Luigi purtroppo è arrivato e se ne è andato  troppo presto.
Credo che oggi Tenco, vedendo come si è evoluto il mondo, continuerebbe ad essere un personaggio scomodo”.

Alessandro Ticozzi