Omaggio a Franco Battiato

27/11/2014

A colloquio con Annino La Posta, autore del volume Franco Battiato. Soprattutto il silenzio (Giunti Editore 2010): in chiusura, il contributo di Corrado Fortuna.

Franco esordisce in chiave decisamente sperimentale, pubblicando nel 1971 l’album Fetus, cui seguono altri lavori influenzati dalle nuove correnti musicali europee: da cosa furono segnati questi suoi inizi?
Principalmente dalla voglia di proporre qualcosa di diverso e poi dalla scoperta del Vcs3, portato per la prima volta in Italia, dall’Inghilterra, e usato come un tramite tra la ricerca musicale e quella interiore: “I primi giorni di sperimentazioni sono stati come viaggi con l’acido, incredibili: la notte mi immergevo a livello fisico in queste sonorità e provavo una specie di senso di esaltazione.”
Nel 1978, con il brano per pianoforte L’Egitto prima delle sabbie, Franco vince il premio internazionale intitolato a Stockhausen: quanto è stato importante questo rinascimento per lui?
Il premio Stockhausen è stato il coronamento del periodo legato alla sperimentazione nell’ambito della musica cosiddetta classica, conseguito con un disco che Battiato considera tutt’ora una delle sue migliori composizioni.
Quanto furono importanti album come L’era del cinghiale bianco (1979) e, soprattutto, La voce del Padrone (1981) per la consacrazione di Franco?
La voce del padrone ha avuto un impatto deflagrante nel mondo musicale italiano, sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo. L’onda d’urto ha investito totalmente anche l’artista, spostandolo da una dimensione elitaria a una di massa dalla quale non si è più riuscito a sottrarre o, più probabilmente, non ha più voluto farlo.
Cosa ha spinto Franco a esibirsi nel 1992 a Baghdad con i Virtuosi Italiani, una formazione cameristica che due anni dopo lo ha accompagnato anche nel tour Unprotected?
La contaminazione è una caratteristica del percorso artistico di Battiato. Sin dall’inizio, la fusione di “cultura alta” e “cultura bassa”, l’incontro di mondi all’apparenza molto distanti tra di loro, ha rappresentato una delle vie attraverso cui si è dipanata la sua ricerca musicale.
A partire dal 1995, cos’ha spinto Franco a collaborare con il filosofo Manlio Sgalambro per l’opera dedicata a Federico II, Il cavaliere dall’intelletto e gli album L’ombrello e la macchina da cucire (1995) e L’imboscata (1996)?
L’inizio della collaborazione con Sgalambro arriva in un momento in cui Battiato, dal punto di vista testuale, sente di “ aver esaurito tutto quello che vuole dire”, un momento in cui la sua ricerca è quasi esclusivamente sonora. I testi del filosofo, che considera molto stimolanti, aprono una nuova fase compositiva: “L’arrivo di Sgalambro mi ha fatto fare i conti con una prosa che ti può sembrare non naturale come la tua ma, nello stesso tempo, mi ha dato una diversità di approccio al mio lavoro e mi ha fatto superare problemi nuovi nella scrittura musicale.”
Da Gommalacca (1998) a Fleurs (1999), da Campi Magnetici (2000) a Ferro Battuto (2001), da Fleurs 3 (2002) a Dieci stratagemmi (2004), da Il vuoto (2007) a Fleurs 2 (2008) e Inneres Auge - Il tutto è più della somma delle sue parti (2009), che cosa possiamo trovare delle costanti di Franco nei suoi album successivi?
Franco Battiato ha poche costanti. Nella sua produzione artistica anche le costanti diventano variabili. I tre Fleurs sono il tentativo di restituire alla forma essenziale alcuni capolavori della musica contemporanea, quindi un lavoro di sottrazione. Negli altri casi, invece, Battiato lavora per sovrapposizioni di tracce. Campi magnetici, poi, è un caso isolato nella produzione degli ultimi anni (a cui da pochissimo tempo, però, si è affiancato Joe Patti’s experimental group), cioè il ritorno alla sperimentazione elettronica.
Cos’ha spinto Franco a dedicarsi anche all’opera lirica, alla regia cinematografica e persino alla conduzione di un programma televisivo, Bitte, keine réclame (2004), andato in onda sul canale digitale RAI Doc?
Decisamente la voglia di sperimentare che, fin dall’inizio, non lo ha mai abbandonato. Sono rarissimi i casi di artisti che alla sua età, invece di ripetere loro stessi, cercano ancora strade nuove.
Quali sorprese ci riserva ancora la carriera di Franco secondo Lei?
Da un artista eclettico, vivo e curioso come Franco Battiato ci si può aspettare di tutto: qualsiasi cosa faccia in futuro sarà sicuramente una sorpresa, pertanto una sorpresa “prevedibile”.

Chiudiamo questo articolo parlando appunto di PERDUToAMOR (2003), esordio di Franco Battiato alla regia cinematografica, con il protagonista, Corrado Fortuna: “Quando mi è stato proposto, ancora non era uscito il mio primo film: Franco vide una mia foto sul Nazionale che parlava del film di Virzì dove in effetti forse assomigliavo un po’ a lui da giovane. Pochi mesi dopo fui contattato per questo film: non potevano dirmi chi era il regista, parlandomi di un importante cantautore siciliano. Allora mangiai la foglia ed domandai subito: ‘Sarà mica Battiato?’. Per me Battiato era un mito quand’ero piccolo: non c’ho neanche pensato, ho accettato perché non vedevo l’ora di farlo. Non ci sarebbe stato motivo alcuno per non interpretare il primo film di Franco Battiato: mi ritengo un privilegiato, è stato un grande onore.
Franco è una persona molto spiritosa, contrariamente a quello che uno può immaginarsi conoscendo i testi delle sue canzoni: sul set è stato esilarante. Era una persona che mette di buonumore chiunque abbia intorno: io sono giovane, ma lui non si è mai posto come un maestro. Era un divertentissimo regista: siamo rimasti amici, e continua ad essere una persona divertentissima.
Posso dire di conoscere l’opera di Franco molto bene, perché lo seguo sempre: tuttavia, nonostante il grande affetto che ci lega, ho sempre avuto una sorta di timore reverenziale nei suoi confronti, anche se lui mi rimprovera di questo, dicendomi sempre che devo farmi sentire di più. È una persona umanamente spettacolare, con molti aspetti interessanti, ed io per questo lo stimo tantissimo”.

Alessandro Ticozzi