I settant'anni di Gianni Morandi

16/12/2014

In occasione del settantesimo compleanno di Gianni Morandi abbiamo incontrato Giuseppe De Grassi, autore del volume Occhi di ragazzo. Cronache di vita, amore, cinema e canzoni d'intorno a Gianni Morandi (RAI-ERI 2002): in chiusura, un contributo di Mariella Nava.

Dai primi successi Andavo a cento all'ora, Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte e Ho chiuso le finestre ai “musicarelli” In ginocchio da te, Non son degno di te e Se non avessi più te, ispirati dagli omonimi brani, fino a pezzi come Notte di ferragosto, C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, La fisarmonica, Un mondo d'amore e Scende la pioggia, come furono gli anni Sessanta di Gianni Morandi?
Come furono? Furono quelli di un ragazzino strappato alla montagna e catapultato in un mondo di sogni. Forse, metaforicamente, fu il concretizzarsi appieno del "miracolo italiano". Gianni ebbe due fortune: quella di essere approdato in una casa discografica come l'Rca (quindi di aver avuto alle spalle un fior fiore di produttori, arrangiatori, musicisti, autori e parolieri) e di essere il perfetto alter-ego di Rita Pavone, altro enfant prodige della multinazionale romana. Da qui a trovare il personaggio giusto per un'industria che allora si proponeva come la maggior divulgatrice di canzonette in Italia, il passo è stato estremamente breve. Gianni diventò il Gianni nazionale proprio perché “rassicurante”, con alle spalle uno staff estremamente professionale. Credo che nulla sia stato affidato al caso, neanche una canzone come C'era un ragazzo. Immagini se vuoi stridenti, come il ragazzo che torna da lei strisciando sulle ginocchia, il suono vetusto (in un'epoca di chitarre distorte e hammond) di una fisarmonica – addirittura ad accompagnare un diciottenne - o lo stesso ratatata di un mitra abbinato a una canzone (che non per caso uscì come lato B), altro non erano che una precisa operazione di marketing (anche se allora il termine era sconosciuto). Ed è stata proprio l'evoluzione fisica e artistica di questo montanaro – la sua consolante normalità - a conquistare il pubblico. Per quanto riguarda i "musicarelli", oltre la televisione rappresentavano l'unico modo pratico per mostrare un artista al suo pubblico. Soprattutto a quello dei piccoli paesi. C'era solo la Rai, i tour non avevano la stessa valenza di ora - forse non esisteva nemmeno il termine tour. Quindi la canzonetta (e di conseguenza il suo cantore), andava sfruttata il più possibile: scarso impegno (economico e artistico) e grandi risultati monetari. Era un'altra industria e chi non ha vissuto davvero quegli anni forse fa fatica a crederci.
Come furono, alfine? Credo splendidi, all'inizio, per un ragazzino che si ritrovò dentro una meravigliosa favola. Forse drammatici per un uomo in crescita, abbastanza intelligente da non capire che, tutto intorno a lui, stava cambiando in fretta.
Da Il mondo di frutta candita e Sei forte papà negli anni Settanta alla vittoria al festival di Sanremo con Si può dare di più (1987, insieme a Umberto Tozzi e Enrico Ruggeri) fino ad album come Celeste, azzurro e blu, A chi si ama veramente e Il tempo migliore, come mai i decenni successivi furono meno prolifici?
I tempi stavano davvero cambiando. E non ha caso uno degli album che preferisco di Gianni è 7, con cover di artisti come Lennon-McCartney, Shapiro, Paoli, etc... l'ultimo battito d'ali del primo periodo, se vogliamo. Gli anni '70 furono probabilmente un trauma per il nostro. Perché? Perché il mondo discografico stava subendo la sua prima grande evoluzione: il 45 giri stava lasciando posto al 33, l'interprete al cantautore, nacquero il progressive e l'hard rock, Sanremo stesso entrò in crisi. La canzonetta non esisteva più: al musicarello subentrarono film come Woodstock, Pink Floyd at Pompei, Hair, Jesus Christ Superstar, Tommy. Citi Il mondo di frutta candita, ma pochi sanno che faceva parte di un album – La caccia al bisonte – scritto interamente, tranne il brano citato, da Ivano Fossati e che fu oggetto di uno special rai. Del resto l'oblio di Morandi in quegli anni è per lo più leggenda: fece album di poco conto e di scarsa vendita, è vero, ma fu un personaggio pressoché fisso della programmazione televisiva di quegli anni, soprattutto come conduttore. E a quegli anni risalgono i film di Salce, Germi e Monicelli. Un tentativo di affrancarsi dall’immagine stereotipata del figlio o del marito delle donne italiane. Il problema è che lui non era un attore: cioè non seppe, non volle, non poté essere un Massimo Ranieri. Perfino il "musical" Jacopone fu un flop. 
E qui non credo che tutta la colpa di Morandi, quanto piuttosto della sua genuina ingenuità (mi si perdoni il calambour) che fra crisi personali, esistenziale e artistiche lo fece galleggiare in un non ben definito magma fatto di, appunto, conduzioni televisive e radiofoniche, canzoni per lo più sciatte (e Sei forte papà è solo un caso), velleitari tentativi pseudo-culturali che se da un lato miglioreranno l’uomo (il diploma di terza media, lo studio del contrabbasso, poi sospeso) lo avvolgeranno anche in una spirale di confusione e estraniamento. Spirale da cui si tirerà fuori a fatica solo nel 1980, riconquistandosi, prima che del pubblico, la fiducia degli addetti ai lavori: Cantare, disco dal vivo dell’80, venderà solo 7000 copie (e mi risulta essere l’unico suo album non pubblicato in cd) ma è anche il prezioso risultato di una vena ritrovata, della voglia di dire ancora qualcosa, non sulla scia di patetici revival, ma affrontando un repertorio nuovo, da vero chansonnier. Ed è quello che succederà con gli album seguenti, da Immagine italiana a In teatro, alla vittoria a Sanremo, fino al fortunatissimo tour con Dalla. Dall’80 all’88, almeno due canzoni diventano veri e proprio evergreen: Uno su mille e Si può dare di più. Quindi, per questo periodo, non parlerei assolutamente di anni “meno prolifici”.
Il problema, piuttosto, è il “dopo Dalla”, con dischi che – tranne in alcuni casi, e alcune canzoni, appaiono sempre più di maniera, senza veri e propri voli, quasi che in lui, ritrovato l’affetto del pubblico, ci fosse ormai la necessità di una normalizzazione, di un sicuro adagiarsi in una produzione standard, il più possibile radiofonica, spesso con arrangiamenti stridenti e un repertorio decisamente inferiore a quello degli anni ’80 o, addirittura, a certe scelte dei sessanta.
Credo sia in questa dicotomia tra il rapporto “pubblico” e quello “discografico”, la necessità, poi, di proporsi artista tout-court, cavalcando anche la nuova formula televisiva del cantante-conduttore (si pensi a Dalla, Celentano, Baglioni), quasi sempre premiata dallo share. Non dimentichiamoci poi, che in queste occasioni c’era comunque un disco o una canzone nuova da promuovere. Ecco il perché del Morandi anche attore e conduttore.
Quali sorprese ci riserva ancora la carriera di Gianni Morandi secondo Lei?
Non credo dovremmo aspettarci grandi sorprese. Il repertorio e le uscite discografiche mi sembrano ormai standardizzate. Un disco nuovo ogni tanto, fra varie antologie con uno o due brani inediti, tv, tour da sold out. Finché non dirà “basta” o cercherà un rinnovamento di stile e repertorio (la grande – e intendo grande – canzone d’autore, per esempio, e non solo italiana). Ma mi sembra poco probabile.

Chiudiamo questo pezzo con il contributo di Mariella Nava: “La canzone Questi figli raccoglie il sospiro preoccupato di un genitore che vede crescere e allontanarsi i propri figli nell'incapacità di essere vicini e compresi nel proprio affetto e voglia di protezione. Quello che colpì Morandi fu la capacità mia di entrare in quel pensiero, di interpretarlo così bene, stando dall'altra parte… essendo cioè "figlia" perché appena ventenne.
Io ero ancora a Taranto, esercitavo il mio scrivere e seguivo il corso di composizione classica con un maestro bravissimo del Santa Cecilia di Roma facendo la pendolare Taranto Roma-Roma Taranto con grandi sacrifici. Quando scrissi questa canzone tentai di contattare alcuni interpreti noti perché capivo che il brano fosse più grande di me e ci voleva una voce credibile per farlo. Lessi per caso che Morandi cercava autori nuovi e gli spedii una cassetta con registrato su il pezzo voce e piano. Ricordo di averlo intimamente raccontato a qualche mio amico del tempo, così quando in un pomeriggio ricevetti la telefonata di Gianni, pensai che si trattasse di uno scherzo! Era troppo semplice e naturale ..... Non potevo pensare fosse vera.... "Ciao Mariella, sono Gianni Morandi, segui Fantastico perché canterò la tua bellissima canzone con mio figlio Marco al violino... e poi la metterò nel mio prossimo disco e anche nella mia fiction televisiva che andrà in onda tra poco... Sei brava... La canzone è fortissima......vieni a Roma?...Ma come hai fatto a descrivere così bene il mio pensiero?..." Ecco questa fu la telefonata come potevo crederci? Ci misi un po' a realizzare che tutto fosse vero .... Mi stava accadendo qualcosa di incredibile e meraviglioso. Ho incontrato poi Morandi personalmente e tanti collaboratori importanti che diventarono anche i miei discografici di allora con cui iniziò la mia carriera.
Non si può essere grandi artisti ed essere amati così tanto a lungo se non si è forti, sensibili, giusti intelligenti..... Il pubblico ama, ma non ti regala niente e se non sei "giusto" ti abbandona con la stessa velocità con cui si è accorto di te. Non si può barare. Ecco, io credo che il pubblico di Gianni abbia apprezzato sempre la sua simpatica semplicità, la sua naturalezza, la sua voglia di non volere essere o apparire "di più", ma riconoscere e difendere le sue umili origini, oltre alla sua voglia continua di "crescere" artisticamente, di rimanere coerente con la migliore tradizione pop italiana ma allo stesso tempo di affiancarsi alla canzone d'autore, aggiungendo ancora valore al suo interpretare, così come credo abbia premiato il suo voler approfondire le conoscenze musicali, studiando al conservatorio. insomma Gianni è uno che ha "lavorato" sul suo successo e non si è mai "seduto"”.

Alessandro Ticozzi