Omaggio a Claudio Baglioni

22/02/2015

A colloquio con Donato Zoppo, autore di "Questo piccolo grande viaggiatore. Claudio Baglioni in 100 pagine" (Aereostella 2012); in chiusura, un contributo del regista Riccardo Donna.

Com’è nata Questo piccolo grande amore, la canzone forse più celebre di Claudio?

Come spesso accade - in omaggio al principio della Serendipity secondo il quale il caso domina le nostre vite... - nei momenti più difficili o di maggiore incertezza, un artista si ritrova tra le mani un'opera che può cambiare e svoltare la propria carriera. Fu così nella primavera del 1972 per Baglioni: reduce dal doppio insuccesso dei suoi primi due album del 1970 e 1971, Claudio era molto demotivato e immaginava di lasciare perdere l'attività musicale, d'altronde era ancora giovanissimo (21 anni) e iscritto ad Architettura.
L'idea forte del pezzo – e più in generale del disco che lo conteneva – era quella che stava facendo la fortuna del nuovo rock internazionale e anche italiano: il concept. Claudio cominciò ad immaginare un disco che non fosse più una semplice raccolta di canzoni ma un insieme di brani legati da una vicenda narrativa: nello specifico quella di due giovani – lui periferico con tanta voglia di affermazione, lei bella e inafferrabile... – che si scoprono e si innamorano in una Roma scossa dalla contestazione post 68 ma caratterizzata dalle prime avvisaglie del "ritorno al privato".
Fu un successo incredibile e definì in maniera molto netta lo stile baglioniano. Una cosa molto interessante fu la censura preventiva operata dalla RCA: il plot iniziale era molto più lungo (pare che Baglioni immaginasse un doppio Lp) e fu tagliato. Nel 2009 Baglioni ha avuto la possibilità di rifarsi pubblicando Q.P.G.A., in pratica la versione originaria del progetto.
Indubbiamente Questo piccolo grande amore è il brano più celebre di Baglioni, ma personalmente non lo ritengo il più riuscito, per quanto gradevole e ben congegnato. Credo che dal punto di vista compositivo il meglio arriverà negli anni successivi, parallelamente alla sua maturazione come autore.


Cos’ha spinto nel 1986 Claudio a organizzare una serie di concerti sperimentali, da cui è nato il triplo album Assolo?

Rimpiango moltissimo quel Baglioni. Come ho ampiamente scritto nel mio libro, io sono arrivato alla scrittura del testo non da fan (non sono mai stato un baglioniano sfegatato, anzi!) ma dalla posizione di ascoltatore molto attento alla scrittura baglioniana pur operando esclusivamente nel campo del rock. Il meglio del suo talento a mio avviso arriva negli anni '80, dall'esplosione straordinaria di vitalità e ispirazione di “Strada facendo”. “La vita è adesso” è il manifesto della sua arte e in quel periodo io ci sento quel fervore che caratterizza i grandi artisti: quella "penna incontrollata" che ti porta a tirare fuori di tutto. Credo proprio che tra il 1985 e il 1986 Claudio avesse un'urgenza espressiva incontenibile, tipo alluvione, rottura degli argini. I testi di La vita è adesso ne sono una chiara testimonianza. Credo che l'esperimento di Assolo ne sia un'inevitabile conseguenza.
Inoltre non è da sottovalutare un altro aspetto, secondo me centrale: il pionierismo. Baglioni ha sempre cercato di porre la prima pietra di tante cose e un'operazione del genere, in solitaria ma in contrasto con la figura canonica – voce e chitarra, tanto basta – del cantautore, serviva proprio a rompere una certa tradizione. Assolo è un disco che purtroppo non ha retto il passare del tempo: avveniristico nell'86, oggi è un prezioso documento storico che testimonia l'avvento di sonorità innovative come quelle Midi, ma per certi versi – almeno per chi come me vive di musica 24 ore su 24 – lo ritengo inascoltabile... Molto molto meglio il suo live-album Acustico: la sua migliore riuscita dal vivo, davvero eccellente per scaletta, resa sonora, qualità dei musicisti (non è da tutti avere al top quell'asso di Gavin Harrison…) e bellezza degli arrangiamenti.


Cos’ha spinto Claudio nell'agosto del 1988 a esibirsi a Torino durante la tappa italiana del concerto in favore di Amnesty International (Human Rights Now Tour), cantando in duetto con Peter Gabriel, Bruce Springsteen, Sting e Youssou N' Dour?

Beh, credo che a spingerlo siano state pressioni discografiche. Non penso che una persona esperta come lui, soprattutto in un prezioso periodo di silenzio – è il quadriennio in cui sta nascendo Oltre –, potesse ignorare che quella esposizione con artisti così diversi avrebbe potuto rivelarsi talmente devastante. Fu un momento davvero spiacevole, molto basso: come se per intervenire nel tema dei diritti umani servisse un certificato di integrità, come se Baglioni avesse inneggiato alla guerra e al genocidio nelle sue canzoni... A volte il fanatismo musicale è insostenibile. "Darsi più amore è l'unica speranza", canta Claudio in Sono io: bisognerebbe ricordarselo un po' più spesso questo verso. È davvero l’unica speranza…

Dal disco Io sono qui (1995) alla trasmissione televisiva Anima mia (1997), come furono gli anni Novanta di Claudio?

Anni molto importanti, per la sua ispirazione, per la crescita della sua popolarità (egli divenne fin troppo presente, debordante), per la realizzazione di grandi tour che alla fin fine sono il suo contributo più notevole alle grandi novità degli spettacoli italiani. Personalmente non sono un ammiratore di Fabio Fazio e non ritengo che Anima mia abbia fatto luce sugli anni '70 (tutt'altro!), però quel programma fu utile per far sciogliere Baglioni e per dargli nuove spinte creative, soprattutto dal vivo. Ricordo sempre con piacere la scoperta di Viaggiatore sulla coda del tempo (1999): un disco probabilmente imperfetto, incompiuto e irrisolto, ma con tante novità nei suoni, nei testi, nelle connessioni con l'elettronica. Un Baglioni diverso, poco familiare, e per questo molto interessante…


Cos’ha spinto Claudio, durante la tournée Sogno di una notte di note (2000), a esibirsi in luoghi storici e artistici, mentre l'anno successivo, accompagnato soltanto dal pianoforte a coda, a organizzare il tour Incanto, durante il quale ha riarrangiato e interpretato brani mai presentati dal vivo?

Credo che la sbornia degli anni '90 – grandi stadi, grande pubblico, tecnologia, innovazioni – lo abbia spinto a cercare la novità nel passato e soprattutto nella semplicità. La musica è fatta di ambiente, di luoghi, di collocazioni e di rapporti con le altre arti: “Sogno di una notte di note” ha dimostrato che ci si può rinnovare abbeverandosi anche a località speciali. Ricordo con piacere la serata al Teatro Romano nella mia Benevento o la meraviglia del raccoglimento acustico al San Carlo per “InCanto”: quando Baglioni rinuncia – e non so se lo fa con piacere o con qualche resistenza… - alla spettacolarizzazione e all’enfasi ad ogni costo, è capace di toccare corde molto profonde. Molto.

Da Acustico (2000) a InCanto tra pianoforte e voce (2001), da Sono io, l'uomo della storia accanto (2003) a Crescendo e cercando (2004), da Quelli degli altri tutti qui (2006) a Buon viaggio della vita (2007), cosa possiamo trovare delle costanti di Claudio nei suoi ultimi anni?

Purtroppo gli ultimi anni, anzi diciamo in generale l'ultima dozzina d'anni, non è stata un periodo particolarmente creativo per Claudio. Non sono un ammiratore dei suoi due ultimi dischi in studio, in particolare “Con Voi”, non lo ritengo un album convincente, a differenza di “Sono io” che aveva molte frecce al suo arco.  Qua e là ha tirato fuori qualche inedito infilato tra raccolte o live (ad esempio mi piace molto la ballata rock “Buon viaggio della vita”, Paolo Gianolio è sempre prezioso in questi pezzi).
Detto questo, la costante di questa decade è tutta sul palco: il canzoniere di Claudio, così ricco, popolare, variegato, è stato approfondito in diverse chiavi, dall'acustico all'elettrico, nei grandi stadi o tra le colonne dei templi greci. È un'esigenza irresistibile per qualsiasi artista che abbia bisogno di riappropriarsi dei suoi pezzi, soprattutto quando sono talmente amati e sentiti dal pubblico che si ha la sensazione di perderli... Ho apprezzato molto i concerti dei tour Crescendo e Cercando: due tournée diverse e per questo complementari, con fior di musicisti e scalette molto interessanti. Ascoltare nello stesso concerto belle sequenze con Fotografie, Un nuovo giorno o un giorno nuovo, Chi c'è in ascolto, Amori in corso, Signora delle ore scure, Ancora la pioggia cadrà e E adesso la pubblicità non è cosa da poco...

Quali sorprese ci riserva ancora la carriera di Claudio secondo Lei?

Claudio ci ha abituato a grandi sorprese ma ho la sensazione che, almeno per quanto riguarda la cosa che a me interessa di più - le canzoni nuove -, non ci siano grandi speranze. Credo che i lunghi silenzi discografici degli ultimi anni siano un segnale preciso di scarsa ispirazione: non è un caso che la maggiore novità di Con voi non sia la qualità dei pezzi ma le modalità di pubblicazione e promozione.  Baglioni resta un inattaccabile ed eccellente autore di testi “pop d’autore”, per citare Paolo Talanca, un critico che ha scritto cose molto interessanti su di lui. Dal punto di vista strettamente musicale, il suo songwriting temo si sia esaurito.
Vuoi sapere cosa mi auguro per il futuro? Un nuovo disco con canzoni nuove per sola voce, chitarra e pianoforte. Solo lui. Senza Gianolio, senza band, senza orchestra, lui da solo. Il Claudio magico per intenderci. Non immagini quanto io desideri un "Dieci dita di inediti". Sarebbe un dono speciale. Spero che ci accontenti...


Chiudiamo questo pezzo con il contributo di Riccardo Donna, noto regista di fiction che cinque anni fa per il suo debutto cinematografico ha diretto proprio Questo piccolo grande amore, la pellicola musicale ispirata appunto al concept di Baglioni: “Negli anni Novanta ho diretto molto concerti rock per la televisione, tra cui anche uno di Claudio. Quindi ci conoscevamo da tempo e quando si è trattato di trovare un regista per quel film il mio nome stava bene sia ai produttori che a Claudio. Inoltre sono un musicista anch'io e mi piaceva fare un film in qualche modo "musicale". Durante le riprese non ci siamo praticamente mai visti, ma in fase di preparazione e poi nel montaggio delle musiche abbiamo piacevolmente collaborato. Lui è una persona curiosa e competente: anche nei confronti di una forma espressiva come un film, per Claudio nuova, ha dimostrato molta sensibilità e rispetto per il mio lavoro. Poi io sono un ragazzo degli anni Settanta, e quella canzone era come un inno per noi. L'uomo e il cantautore, per quanto ne so, si fondono. Claudio è un grande, lo dimostra la sua longevità artistica”.

Alessandro Ticozzi