
Ricordiamo Mia Martini nel ventennale della scomparsa con una testimonianza particolare. Una conversazione inedita con Pippo Augliera, lo scomparso presidente del fan club Chez Mimì nonché autore di due libri dedicati a Mimì: La regina senza trono e La voce dentro. In chiusura, il ricordo di Dario Baldan Bembo.
Mimì incise giovanissima il disco I miei baci non puoi scordare, raggiungendo il successo nel 1971 con la canzone dalle forti tinte autobiografiche Padre davvero: come furono i suoi inizi?
Mimì Bertè, dopo una lunga gavetta negli anni ’60 come cantante ye-ye, delusa dal fatto che non riesce, nonostante le sue qualità artistiche, a sfondare, si ritira provvisoriamente dal mondo discografico. Non incide dischi, ma continua a fare serate. Nel 1971, scoperta da Alberigo Crocetta, diventa Mia Martini, con un look zingaresco: i lunghi capelli arruffati alla Julie Driscoll, un anello al naso, occhi molto truccati, l’aria drammatica, i suoi grandi scialli neri.
Il suo primo disco “Padre davvero” ha come tema il rapporto conflittuale tra genitori e figli, eravamo allora in un momento molto proibitivo. Il brano viene subito giudicato ‘dissacrante’ e censurato dalla Rai. Ha un testo molto forte, racconta la storia di questa ragazza che si trova improvvisamente nei guai e il padre, che non si era mai fatto vivo prima con lei, cerca di difendersi, dicendo: tu in fondo hai diffamato il mio nome, hai rinnegato tutto quello che io ti avevo dato. E lei si ribella al padre: tu non mi hai dato niente, perché non sapevi neanche se io esistessi.
Sono in parecchi a rilevare una fortissima valenza autobiografica, anche se l’autore, Antonello De Sanctis, ha smentito, affermando che il brano gli era stato ispirato da un’altra situazione e lo ha anche ribadito anche la stessa Mia Martini che non era rivolto al padre.
L'interpretazione, assolutamente innovativa, riscuote comunque parecchio interesse, tanto da vincere il 1° festival di Musica d'Avanguardia e Nuove Tendenze di Viareggio, ottenendo un gran successo di critica. Sul retro di questo primo 45 giri c'era “Amore... amore... un corno”, un altro brano d'impatto scritto da un giovanissimo Claudio Baglioni. Lo stesso Baglioni compone anche “Gesù è mio fratello” (pubblicata su 45 giri, inaugura il suo filone spirituale) e la profetica “Lacrime di marzo”, canzoni che trovano posto anche nell'Lp “Oltre la collina”. L'album, di esordio, pubblicato nel novembre 1971, è considerato tra i migliori lavori mai realizzati da una donna, nonché uno dei migliori della discografia d'autore. Le sue canzoni non sono i soliti motivetti orecchiabili o pezzi di jazz suonati per il solo piacere della musica, ma diventano un grido, dispiegano la sua storia amara, le sue inquietudini, i suoi gridi silenziosi in un mondo che non le ha dato quello di cui aveva bisogno.
Dopo aver inciso appunto Oltre la collina, il suo primo album come Mia Martini, Mimì diventò sempre più popolare con i brani Piccolo uomo (1972, incluso nell'album Nel mondo una cosa), e Minuetto (1973) e gli album È proprio come vivere (1974) e Danza (1978), quest'ultimo frutto della collaborazione con Ivano Fossati: secondo Lei cosa rappresentò Mimì per la musica leggera italiana degli anni Settanta?
Con il disco di esordio era nata Mia Martini, un personaggio fortemente innovativo, lontana dai clichè ai quali ci avevano abituato soprattutto le nostre interpreti femminili. Nel 1972 arriva la consacrazione vera e propria. Mia riesce ad incidere “Piccolo uomo” (testo di Bruno Lauzi). Nonostante il pessimismo del compositore Dario Baldan Bembo, che voleva affidare il brano ad un'interprete più nota, il brano giunge al vertice della hit parade, vincendo il Festivalbar. E’ il suo momento d’oro: tanti concerti, la tv le spalanca le porte con numerose partecipazioni e ospitate. E di fronte alla critica che le viene mossa, cioè di essere passata dalla canzone di protesta a quelle d’amore, lei si difende sottolineando di continuare a cantare ciò che le piace e ritiene adatto al suo temperamento, purchè sia valido e lontano dai motivetti commerciali e banali.
Per la musica leggera, ha rappresentato una ventata d’aria nuova, riuscendo ad ottenere il successo sia di critica che di pubblico, proponendo nei suoi album tematiche particolari, e cioè l'inquietudine, l'insicurezza e i sentimenti giovanili, resi particolarmente credibili dalla sua sensibilità interpretativa. Fino a quando le viene data la possibilità di scegliere in maniera più autonoma il suo repertorio.
E’ il periodo in cui vince La Mostra internazionale di Venezia con “Donna sola”, ottiene il Premio della Critica per “Nel mondo una cosa”, trionfa al Festivalbar per due anni consecutivi. I suoi dischi escono in vari paesi del mondo: registra i suoi successi in francese, tedesco e spagnolo, ottenendo consensi significativi anche all'estero, in particolare in Francia dove viene paragonata addirittura alla grande Edith Piaf e notata da Charles Aznavour che la vorrà accanto in un prestigiosa tournèe a due.
Eppure, qualcosa comincia a non andare per il verso giusto: quando la discografia, convinta che lei può vendere comunque, la costringe a realizzare un album che non la soddisfa “Un altro giorno con me”, ha il coraggio, da artista vera, senza trucchi ed inganni, di interrompere un contratto, pagando una penale salatissima, pur di non tradire se stessa e il suo pubblico. E “Danza”, rappresenta la conferma di ciò: il desiderio di non scendere a compromessi, che fa da apripista ad un album considerato tra i suoi migliori in assoluto, con testi e musiche di Ivano Fossati. “La costruzione di un amore”, l'omonima “Danza e Vola”, scelta per promuovere l'album e uscita su 45 giri nel 1979 , rimarranno a lungo nel repertorio dell'artista, così come “Canto alla luna”, riproposta nel 1992 nel suo video tour Per aspera ad astra, dove il famoso astro diventa l’interlocutore a cui rivolgere un appello disperato. Pezzo emblematico con valenza autobiografica , dal momento che Mimì vive i suoi momenti di crisi legati alla sfera sentimentale e alle voci relative alla nomea di portare jella. Il decennio si chiude, infatti, con un suo ritiro dalle scene.
Dall'album Mimì (1981) alle canzoni E non finisce mica il cielo (1982), Almeno tu nell’universo (1989, inclusa nell'album Martinimia) e La nevicata del ’56 (1990), cosa possiamo trovare di Mimì nei suoi successi seguenti?
Nel 1981, dopo un anno sabbatico, segnato da una difficile operazione alle corde vocali, che ne modifica leggermente il timbro e l'estensione in favore di una voce più roca, Mia si propone anche come cantautrice, presentandosi con un look più discreto e maschile, lontano anni luce da quello eccentrico degli anni Settanta. Realizza per la DDD l'album Mimì: dieci brani quasi interamente scritti da lei e registrati tra Londra e gli Usa con gli arrangiamenti di Dick Halligan. I risultati sono sorprendenti e variano le atmosfere musicali: inizia a scrivere, su sollecitazione del suo compagno, che la considera soltanto una splendida voce e basta, scopre nuovi orizzonti nell’interpretare se stessa, regalando altre grande emozioni.
Nel 1982 arriva il vero rilancio discografico con la prima partecipazione di Mia al Festival di Sanremo, dove interpreta ancora una canzone scritta da Ivano Fossati, intitolata “E non finisce mica il cielo”. La qualità di un brano del genere, destinato a non raggiungere il podio, viene comunque riconosciuta dai giornalisti con il prestigioso Premio Della Critica, istituito appositamente per lei. Dopo la sua morte, il premio della critica, in suo onore, verrà intitolato "Premio della Critica Mia Martini". Nello stesso anno pubblica l'Lp “Quante volte... ho contato le stelle”. Un album che la cantante dedica al padre e in cui compaiono alcuni brani firmati dalla stessa Mimì: Stelle, Bambolina, bambolina, sulla follia della madre e il testo di “Vecchio sole di pietra” su musica di Fossati (episodio del tutto eccezionale nella carriera di quest'ultimo, abituato a scrivere testi e musiche delle sue canzoni). Fra gli altri autori compaiono anche Riccardo Cocciante. Scrive uno dei suoi testi in assoluto più validi, “Quante volte”, su musica e arrangiamento soft-funk di Shel Shapiro.
E’ un periodo artistico molto creativo me le difficoltà sono tante: un amore appassionato e turbolento, che le dava grandi gioie ma altrettante depressioni, le cattiverie dell’ambiente dello spettacolo, la scomodità di rimanere sempre coerente alle sue idee musicali, le grandi difficoltà economiche in cui perennemente si dibatteva, la portarono a chiudersi sempre più in se stessa. Realizza nel 1983 un album live “Miei compagni di viaggio” e quando la commissione d’ascolto del Festival di Sanremo, qualche anno dopo, non accetta “Spaccami il cuore” di Paolo Conte, matura la decisione di smettere di cantare. Si trasferisce stabilmente in Umbria e continua a lavorare sulla voce, a studiare musica. Per sopravvivere fa delle serate qua e là, con dei gruppi orribili.
Nel 1989, a sorpresa, il clamoroso ritorno a Sanremo con “Almeno tu nell’universo”, una perla firmata da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio, scritta nella stessa settimana di Piccolo uomo, ma Mimì, all’epoca, non ha voluto inciderla, forse la considerava troppo avanti per la psicologia di quel periodo. E’ rimasta nel cassetto per ben 17 anni ed è stata provinata da altri artisti ma con scarsi risultati, probabilmente aspettava di essere interpretata da chi l’ha poi trasformato in un piccolo capolavoro per coinvolgimento ed intensità. Lei stessa dirà: ‘Di Almeno tu nell’universo credo che resterà quello che è rimasto di Minuetto oggi, ma sarà qualcosa di più importante , perché Minuetto non ha avuto la partecipazione, il calore di Almeno tu nell’universo, un pezzo che è arrivato dopo un buco nero che c’era nella mia vita, nella mia carriera. Chi lo risentirà tra vent’anni avrà qualche brivido in più, perché si ricorderà di una emozione intensa che abbiamo vissuto insieme’.
Conferma di essere una delle poche cantanti emerse negli anni ’70 ad essersi costruita, attraverso successi e silenzi, una identità così sicura da essere indiscutibilmente valutata, fra le ‘signore’ della canzone italiana. E affascina e trascina per un’altra dimensione, quella del ritorno da profondi silenzi e travagli che ne hanno fatto una creatura epidermicamente felice del caldo, ritrovato, abbraccio del pubblico, sicuramente la sua carta vincente.
Torna con dei tour organizzati come si deve, in cui lei incanta con il suo canto passionale, con le sue note basse, roche che raggiungono improvvisamente le note vibranti più alte del pentagramma. E regala altri capolavori che entreranno a fare parte dell’immaginario collettivo: La nevicata del ‘56, Gli uomini non cambiano, Cu’mme, lo splendido duetto con Roberto Murolo. Fino al suo album di congedo “La musica che mi gira intorno”, nel quale con straordinaria bravura rilegge cantautori molto amati da lei: Fossati, De Andrè, De Gregori, Vasco Rossi, i fratelli Bennato. E lascia l’amaro in bocca, il pensiero di quello che avrebbe potuto regalarci ancora, alla luce dei numerosi progetti ancora da realizzare: un disco dedicato alla luna, una raccolta con il repertorio di Tom Waits, una antologia con una selezione di classici napoletani.
A vent'anni dalla scomparsa, cosa rimane secondo Lei di Mimì come donna e come cantante?
In una intervista ha dichiarato: ‘Ho sempre pensato di non essere legata alla moda di un brano. I miei dischi, anche se non vanno in cima alla hit parade, si vendono nel tempo, sono sempre attuali proprio perché non legati ad un discorso di moda’.
Profetiche, inoltre, le parole pronunciate al suo club ufficiale Chez Mimì prima della scomparsa ... ‘ormai ho 47 anni, ho poco tempo, non voglio fare più niente che non rimanga nella storia, lo faccio per voi, perché poi da cadavere valgo di più, i dischi postumi sono gettonatissimi. Quando non ci sarà più, la “Vostra Signora" farà i miliardi...’
Ed è quello che sta accadendo, dopo la sua scomparsa. Paradossalmente, la sua produzione discografica è più prolifica e costante, rispetto agli altalenanti periodi della sua carriera contrassegnata da battute d’arresto e ritorni clamorosi dovuti alla subdola nomea di portare jella e a vicende personali e professionali non tranquille. Ultimamente, i suoi dischi, nonostante la sua assenza fisica non possa garantire una adeguata promozione, riescono ad entrare regolarmente in classifica, segno di una popolarità in crescendo. Ha persino ottenuto il disco d’oro per le vendite della doppia raccolta Il meglio.
I giovani la scoprono, grazie a chi continua ancora ad amarla, o attraverso sue performances canore in qualche programma televisivo, e se ne innamorano, imprigionati da uno stile interpretativo caldo e avvolgente, difficilmente riscontrabile presso le numerose ‘stelline’ del firmamento musicale odierno. I nuovi talenti la omaggiano in maniera sentita e come afferma J-Ax: ‘Mia Martini è la nostra regina. Non puoi cantare come lei. Se arrivi 10 punti sotto ti devi ritenere soddisfatta’.
Il rimpianto e il rammarico provati di fronte alla sua repentina scomparsa hanno determinato una forte spinta ad una sua rivalutazione immediata, ricevendo anche una meritata attenzione culturale, a tal punto da convincere le case editrici a pubblicare dei libri ben accolti dai lettori.
Inevitabile l’amarezza provata di fronte a un così grande talento tanto bistrattato in Italia e che fuori dai nostri confini avrebbe avuto una ben altra carriera, sarebbe stata osannata. Il suo essere artista vera le ha dato molto e contemporaneamente le ha tolto molto, a parte l’affetto di un pubblico che non l’ha mai dimenticata. Nell’ultimo periodo aveva ritrovato il successo e le sue non erano solo canzonette, perché, come ha detto Ivano Fossati, con la sua voce ormai dipingeva quadri, trasformandoli in piccoli capolavori. Basti ascoltare “La musica che mi gira intorno” del ’94, realizzato con cover d’autore e con il quale è riuscita persino a far commuovere il magno Fabrizio De Andrè nell’ascoltare l’ intensa interpretazione della sua “Hotel Supramonte”. Ultimo tassello di un immenso patrimonio artistico appartenente a un mito entrato di diritto e definitivamente nell’Olimpo dei Grandi.

Chiudiamo questo pezzo con il ricordo di Dario Baldan Bembo, che appunto ha scritto per Mimì diverse canzoni di successo negli anni Settanta: “Ho incontrato per la prima volta Mia Martini nei locali della mia edizione , che si chiamava Come Il Vento. Il suo produttore Gianni Sanjust era venuto da noi per trovare un pezzo da dare a questa cantante nuova venuta da Bagnara Calabra. Io avevo appena portato in Edizione Piccolo uomo, come provino, e Sanjust aveva deciso di farlo fare proprio alla sua cantante. Si dice in giro, ma io non mi ricordo, che alla decisione di far fare a Mimi Piccolo uomo ebbi da dire di no, perché avevo progetti più ambiziosi per la mia canzone - come affidarla a Mina - il che mi sembra assolutamente normale, perché Mimì NON era ancora la Mia Martini che conosciamo, ma una nuova promessa ancora in fasce. Però alla fine Sanjust ebbe la forza di convincermi, e per questo lo ringrazierò tutta la vita !!!
Le canzoni che ho dato a Mimì sono 12, e non solo quelle che tutti conoscono. La collaborazione era del tutto semplice: io facevo il provino per conto mio, lo portavo in Come il Vento, lo ascoltavamo, lo ascoltava Sanjust, e si decideva chi dovesse fare il testo. Tutto qui, molto semplice. Poi si andava in Via dei 500 a Milano, in un oratorio trasformato in sala d’incisione (dove uscirono tutti i più grandi successi di Lucio Battisti !!), e si incideva, con sempre io al pianoforte, e lei che cantava dopo sulla base finita: Mimì infatti non era abituata a cantare in diretta con l’orchestra.
I ricordi che mi legano a Mimì sono assolutamente professionali, ma non solo: alla Come il Vento si era creata un’atmosfera magica, dove tutti eravamo più o meno amici, ritrovandoci di sera a cena nello stesso ristorante, e parlando di quello che si doveva fare. La mia collaborazione insieme a lei - non mi vergogno di dirlo - si esprimeva nelle cene al ristorante, e nei pomeriggi all’edizione, a provare e riprovare melodie su melodie, fino a trovare la cosa perfetta, sopratutto divertendoci tantissimo.
Come donna è sempre stata una donna sola, come dice la canzone, un po’ schiva dei rapporti, sola con se stessa, un po’ inquieta, e insofferente della realtà che la circondava.
Come donna, e’ stata una delle più grandi voci femminili italiane: ancora oggi non e’ uscita chi la può superare, ma nemmeno pareggiare. Voce forte, decisa, coinvolgente: sapeva smuovere l’intimo che c’è in noi, e in modo intenso”.