Omaggio a Vasco Rossi

07/07/2015

Continua ad entusiasmare con il suo nuovo tour riempiendo gli stadi. Parliamo di Vasco Rossi e del suo intramontabile successo con Marco Antonio Gallico, autore del volume "Fatti di Vasco". 

Quanto furono importanti le partecipazioni al Festival di Sanremo (Vado al massimo, 1982 e Vita spericolata, 1983) e al Festivalbar (da lui vinto nel 1983, 1998 e 2001) per l'affermazione di Vasco?
Senza dubbio fondamentali anche se non si può pensare che siano state tutte di uguale importanza. Quelle a San Remo furono storiche, la prima per farsi conoscere dal grande pubblico, la seconda per lasciare un segno indelebile. Il San Remo dell’83 per Vasco, visto che la città ligure è anche la città dei casinò, diciamo che è stato l’anno dell’ALL-IN, poteva essere seppellito e dimenticato in un batter di ciglia o ripulire il banco, abbiamo visto come è finita. Diverso è il discorso del Festivalbar 83 dove Vasco era ormai arrivato, aveva la consapevolezza che era iniziato per lui un percorso che lo vedeva come capo popolo. Le partecipazioni più “recenti” sono meno importanti anche se segnano comunque l’una la consacrazione dello star system (‘98) e l’altra la glorificazione mediatica definitiva (2001).
Come mai nelle canzoni di Vasco si alternano ritmi rock a ballate struggenti, quasi poetiche, come Albachiara?
Beh questa è una caratteristica di Vasco ma anche di gran parte della cultura Rock. Parlo di quel rock classico, quel rock che esprime entrambe le facce dell’animo umano, quello selvaggio e quello tenero. I Beatles, i Rolling Stones sono gruppi popolari sia per le loro ballate che per i loro pezzi urlati (pensiamo a Lady Jane e a Helter Skelther). Vasco non è mai stato un’estremista, non si è mai inserito in un sottogenere, i sottogeneri hanno meno margini, hanno dei dogmi, il rock “classico”, chiamiamolo così, no. Se Vasco canta Albachiara infatti ci sta bene, un fan dei Sex Pistols non avrebbe mai accettato che Johnny Rotten potesse scrivere, che ne so, Your song…
Proprio per questo credo che ci sia da fare una riflessione su cosa s’intende per rock, quando sento dire che Vasco Rossi è l’unica rock star italiana mi sembra una forzatura… può essere corretta perché Vasco ha avuto uno stile di vita rock ed è una star, se vista in quest’ottica anche Grignani e Zucchero sono rockstar.
Va anche detto che c’è anche una cultura rock più trasgressiva in Italia, più estrema e meno guascona. Vasco è un rocker moderato se vogliamo dirla tutta, forse il Vasco più estremo lo abbiamo visto negli anni di Nessun pericolo per te, non prima e non dopo.
Non credo infatti che Vasco sia mai stato molto considerato dalla scena underground, se non agli inizi, fino al 1983 appunto. Con l’album Cosa succede in città (1984) Vasco ha deciso di essere una Popstar più che una rockstar...
Da Non siamo mica gli americani (1979) a Colpa d’Alfredo (1980), da Siamo solo noi (1981) a Vado al massimo (1982), da Bollicine (1983) a Va bene, va bene così (1984), da C'è chi dice no (1987) a Liberi liberi (1989) e Gli spari sopra (1993), da cosa trae ispirazione Vasco per i suoi album più rappresentativi?
Gli album che lei cita sono molti e già li dividerei in due fasi… credo che tutti gli album di Vasco siano assolutamente autoreferenziali ma se nei primissimi c’era anche una visione della vita che accadeva intorno a lui, se c’era la presenza di alcuni racconti di paese o del paese, penso ad Alibi, Ambarabaciccicoccò o Tropico del cancro, con il passare degli anni Vasco ha cominciato a concentrarsi esclusivamente sul suo mondo interiore, sulle sue emozioni. A parte i ritratti femminili, i suoi testi diventano quasi esclusivamente in prima persona.
In C’è chi dice no lo stile e l’atmosfera sono già assai diversi da Colpa d’Alfredo, forse la canzone Lunedì è quella che funge da collegamento, ma con quell’album Vasco diventa un po’ meno ironico e più disilluso.
Nell’album Liberi liberi per esempio viene sviluppato il discorso interiore, c’è una scoperta della realtà, c’è un uomo adulto che non ha più tutta quella voglia di ridere. Il Vasco degli esordi in Liberi liberi è quasi del tutto sparito, il suo lato surreale quasi definitivamente accantonato (verrà riaccennato in Valzer di gomma nel 1993).
Da Stupido Hotel (2001) a Buoni o cattivi (2004), da Il mondo che vorrei (2008) a Vivere o niente (2011), cosa possiamo trovare delle costanti di Vasco nei suoi ultimi lavori?
Premesso che a mio parere uno degli album più belli di Vasco sia Nessun pericolo per te (1996), album veramente rock, controverso, che sicuramente risente di quell’ondata maledetta post grunge, gli album del 2000 sono quelli che personalmente considero meno, quelli che portano Vasco in una fase a mio parere discutibile sotto tutti i punti di vista. Dopo la consacrazione dell’Heineken Jammin Festival e la morte di Riva, Vasco diventa altro da quello che era prima.
È quella che io definisco “era Tania Sachs” (colei che funge da ufficio stampa di Vasco ma ai miei occhi sembra più un colonnello Parker che decide cosa Vasco deve e non deve fare e dire, che decide quando lo deve dire e a chi lo deve dire). È l’era del fanatismo, dell’idolatria, della mitizzazione, dell’elogio continuo. Questo continuo osannare qualsiasi cosa Vasco dica o pensi distrugge l’artista e lo rende schiavo.
La musica passa in secondo piano, l’obiettivo è rimanere i numeri uno, è raggiungere il numero uno della classifica, è riempire San Siro tre, quattro volte, è fare record. Ecco che le interviste di Vasco diventano uguali, esce l’album, presenta l’album, lo presenta con uno slogan che ripete per mesi, lo promuove per le radio e che sia 105 o RTL oppure Radio Deejay dice le stesse cose, rimarca i messaggi, tutto diventa pubblicità e Vasco stesso comincia a usare termini come “progetto”, “prodotto”, Vasco Rossi non è più una persona ma è diventato un team, un brand, una fabbrica, un’azienda nella quale lavorano più persone e tante scelte le fanno altri. C’è stato si un momento di cortocircuito quando Vasco in un periodo di malattia scopre Facebook e va a ruota libera, fa “clippini” (in uno dei quali si vede proprio Tania Sachs su un grosso schermo in collegamento su Skype che lo redarguisce e Vasco si sfoga dicendo che decide lei quello che è il pensiero di Vasco) ma poi tutto ritorna sotto controllo.
Gli ultimi lavori di Vasco hanno suoni impeccabili, talmente perfetti da non essere umani, musicalmente sono freddi, privi di anima. I testi, tranne rare eccezioni, sono poveri. Credo che Vasco avrebbe avuto bisogno più di critiche costruttive intorno a lui e meno di sentirsi dire tutti i giorni “sei il numero 1 e tutti gli altri son nessuno”.
Cos'ha spinto invece Vasco a cimentarsi nella cover di Lucio Battisti La compagnia, inserita nel mini CD Vasco Extended Play (2007)?
Si sa che Vasco è cresciuto ascoltando Battisti, non ha mai nascosto che Battisti fosse il suo cantante preferito ed è chiara l’influenza di quest’ultimo sulla sua carriera. Questo brano sembra quasi scritto da Vasco, se fosse firmato Rossi anziché Donida-Mogol (paradossalmente la musica non è di Battisti) non ci sorprenderebbe. E’ una canzone “vaschiana” ante-vasco, una sorta di parente lontana di Senza parole. Mi sarebbe piaciuto che Vasco a fine anni ‘90 (periodo secondo me in cui aveva la voce ancora potente ma più greve) avesse registrato un album intero di cover perché le sue interpretazioni sono uniche, fa le canzoni degli altri sue e le migliora sempre.
Che sorprese ci riserva ancora la carriera di Vasco secondo Lei?
Difficile dirlo, Vasco è sicuramente una bella persona, una persona profonda e sensibile, un personaggio più unico che raro nello star system italiano. Non so se è importante quello che farà perché comunque ha una storia già molto ricca, ha scritto canzoni bellissime, inni generazionali, ha fatto record su record, ha fatto parlare di sé, ha rilasciato interviste meravigliose (soprattutto a Red Ronnie che le custodisce gelosamente in cassaforte sapendo di avere un prezioso bottino). Io spero soltanto che Vasco segua sempre il suo istinto, che torni ad essere più uomo libero e meno dipendente Emi. Spero che trovi il coraggio di dimenticare completamente il suo “popolo”, la fama, i record e l’industria, che ritrovi la genuinità senza alcuna paura di perdere qualcosa.
Non so, magari mi sbaglio, anzi sicuramente sbaglio nel volere che Vasco faccia una cosa piuttosto che un’altra, tutti quelli intorno a Vasco vogliono da lui qualcosa. Credo non dev’essere per niente facile essere Vasco. Sarei molto confuso anche io e questa confusione infatti è diventata la protagonista dei suoi testi se ci fai caso. Già, chissà perché tutti vogliono qualcosa da Vasco, nel bene o nel male… credo che molta gente s’incazzerà quando tre giorni dopo la sua dipartita non ritornerà!

Chiudiamo questo pezzo con il contributo del chitarrista Maurizio Solieri: “Il primo incontro con un Vasco Rossi giovanissimo e ancora lontano dai grandi successi è avvenuto alla stazione dei treni di Modena nella primavera del 1977. Un mio caro amico, nonché batterista della band con cui suonavo, era stato compagno di collegio di Vasco, e quando Punto Radio era stata fondata e aveva un notevole riscontro col pubblico, Sergio Silvestri (il mio amico) aveva rincontrato il Rossi, il quale gli aveva proposto di entrare nello staff della radio. Successe che da intrattenitori musicali, Vasco, Sergio e Riccardo Bellei proposero per radio canzoni scritte e cantate da loro,che incontrarono il gradimento del pubblico. Io all'epoca stavo facendo il servizio militare a Napoli, ignaro di tutte queste cose, e fui raggiunto da una telefonata di Sergio Silvestri che  mi chiese di prendermi una licenza per andare con tutto lo staff a Milano per registrare dei demo. Così feci e da lì iniziò tutto.
Di tutto il lunghissimo nostro sodalizio sono innumerevoli i momenti importanti: diciamo che fu molto soddisfacente vedere che una musica creata da noi in sala prove e poi, pian pianino, nei locali dove suonavamo, arrivava gradatamente al pubblico fino a sfociare in un grande successo.
Come uomo Vasco è una persona estremamente sensibile e tormentata, come artista parlano per lui le sue canzoni, diventate epocali”.

Alessandro Ticozzi