Omaggio a Carmen Consoli

08/09/2015

A colloquio con Federico Guglielmi, autore del volume Carmen Consoli. Quello che sento (Giunti 2001): in chiusura, il contributo di Roberto Faenza.

Figlia di un chitarrista, Carmen si avvicina alla musica fin da giovanissima, esibendosi già a quattordici anni nella cover band Moon Dog‘s Party, il cui repertorio spazia dal rock alla black music: da cosa furono segnati questi suoi inizi?
Direi dall‘acquisire gradualmente la consapevolezza di essere nata per stare sul palco. Ovvio che quelle prime esperienze sono state fondamentali anche a livello pratico, per imparare la professione di musicista e prendere confidenza con tutte le dinamiche ad essa relative, ma credo davvero che, dopo la rivelazione - avuta ancora prima - di sentire un certo tipo di musica sulla pelle e nello stomaco e non solo con le orecchie, i Moon Dog‘s Party siano stati lo strumento-chiave per rendersi definitivamente conto di quale fosse la strada giusta da seguire, quella più in sintonia con la sua indole.
Notata in seguito dal produttore Francesco Virlinzi, Carmen realizza il suo album d'esordio, Due parole (1996): cosa possiamo trovare in nuce della sua poetica musicale in questo lavoro?
Direi un po’ tutto e nemmeno poi tanto in nuce, benché la produzione abbia indirizzato il lavoro verso un suono più pop-folk, vagamente alla Tracy Chapman, mitigando l’indole più rock/alternative che era nelle corde di Carmen e che sarebbe poi emersa in Confusa e felice e ancor più in Mediamente isterica. Certo, si sta sempre parlando di un‘autrice giovane e dalla poetica comprensibilmente non del tutto a fuoco, ma brani come Lingua a sonagli o Vorrei dire sono inequivocabili: una buona parte della Carmen Consoli successiva c’era già, eccome.
Da Confusa e felice (1997) a Mediamente isterica (1998), da Stato di necessità (2000) a Carmen Consoli (2003), da Eva contro Eva (2006), che le vale il Premio Carosone 2006 alla carriera, a Elettra (2009), come definire l’evoluzione artistica di Carmen attraverso i suoi album di maggior successo?
Carmen ha sempre avuto la capacità invidiabile di cambiare rimanendo “fedele a se stessa”, di aggiungere elementi nuovi senza per questo diventare “un‘altra cosa“. Al di là delle deviazioni più o meno nette, trovo la sua produzione molto coerente. Secondo me la sua evoluzione è stata soprattutto in termini di ricettività a stimoli nuovi e di attitudine a sintetizzarli. Gli ultimi tre album - senza contare quello che uscirà a breve - sono meno “rock” sul piano formale, ma per quanto riguarda la sostanza, la forze di impatto, un pezzo come Mio zio non è poi così dissimile da uno come Geisha. Insomma, non è solo questione di chitarre distorte o pulite, di strumenti rock o acustici. Più che il Premio Carosone del 2006, però, ritengo estremamente significativa la conquista, con Elettra della Targa Tenco 2010: è stata la prima e unica volta che una donna ha vinto la categoria principale, quella di “album dell‘anno” in assoluto.
Cos’ha spinto Carmen a collaborare anche con il cinema (è sua infatti la canzone scelta da Gabriele Muccino come colonna sonora de L’ultimo bacio, 2001, e l‘interpretazione di Je suis venue te dire que je m’en vais di Serge Gainsbourg per Saturno contro, 2007, di Ferzan Ozpetek) e a duettare con il concittadino Franco Battiato nel brano Tutto l‘universo obbedisce all’amore, inedito dall‘album Fleurs 2 (2008)?
Carmen ha sempre avuto grande interesse per il cinema, ma come spettatrice. Le sue collaborazioni, alla fine nemmeno tante, sono figlie di intrecci di conoscenze e, in primis, del‘enorme successo del pezzo L’ultimo bacio, ispiratore del film di Gabriele Muccino grazie a Paolo Buonvino, che mentre stava lavorando agli arrangiamenti degli archi lo fece ascoltare al regista. Non credo di sbagliare affermando che tutto ciò che è accaduto tra Carmen e il cinema è frutto di eventi fortuiti e di sinergie venutesi a creare per caso, senza che a monte ci fosse una “volontà” propriamente detta di incontro. C‘è stata “tirata dentro”, fermo restando che lei è stata ben felice di farcisi tirare e che ha fatto la sua parte con la classe e l‘ispirazione che la accompagnano in ogni contesto.
Quali sorprese ci riserva ancora la carriera di Carmen secondo Lei?
Bella domanda, alla quale non so dare risposta perché non ho la palla di vetro e lei è un‘artista comunque imprevedibile. Posso però dirti che mi piacerebbe, magari non a breve ma fra un tot di anni, vederla alle prese con un album folk in dialetto: non rivisitazioni di classici, ma nuove canzoni autografe in bilico fra passato e presente. Credo che prima o poi potrebbe farlo, e probabilmente molti - ma non io - ne rimarrebbero stupiti.

Chiudiamo questo pezzo con il contributo di Roberto Faenza: “Ho conosciuto Carmen Consoli parecchi anni fa a Palermo, quando stavo preparando il film Marianna Ucria, ispirato al romanzo di Dacia Maraini. Parlo degli anni tra il 1995 e il 1997. Mi venne presentata dal suo produttore musicale, Francesco Virlinzi, un giovane di talento scomparso precocemente. Credo che all’epoca Carmen fosse poco più che ventenne e ricordo che mi affidò una canzone, che aveva composto leggendo il romanzo di Dacia, da dare alla scrittrice. L’incisione è scomparsa e quando tempo dopo ho chiesto a Carmen se ne aveva una copia, mi sembra di aver capito che non esiste più. Peccato, sarebbe bello risentirla. Mi è sempre piaciuta la musica di Carmen, le parole che inventa e anche una certa sua durezza. Se devo cercare una voce non italiana che la ricorda, penso a Tracy Chapman.  Ecco perché alla prima occasione cinematografica ho pensato a lei. Mi è sembrata perfetta da associare all’estro di Bregovic, che nel film I giorni dell’abbandono copre il doppio ruolo di attore-musicista e anche autore della colonna sonora.
La colonna sonora del film è figlia dell’era di Internet. Nel senso che è stata pensata, composta e lavorata non incontrandoci quasi mai. Goran era sempre in viaggio e mi mandava via mail i brani. Io li ascoltavo, li rispedivo con le mie osservazioni e dopo pochi giorni, a volte solo poche ore, tornavano aggiornati. Lo stesso procedimento è avvenuto per la composizione della stesura della canzone ideata da Carmen. Se non ricordo male, l’ho vista in sala incisione non più di una o due volte e credo che Goran fosse presente solo via telefono. Devo dire che questa modalità creativa a me piace molto, infatti sono un supporter del lavoro a distanza, che ho cominciato a frequentare sin dagli anni Ottanta, quando Internet ancora non esisteva e all’Università di Pisa stavo sperimentando l’efficienza del suo progenitore Arpanet. Lavorare a distanza perde in contatto umano, peer to peer, ma ne guadagna in rapidità e concretezza. Bando alle chiacchiere, si potrebbe dire. Nel caso della canzone del film, Carmen era talmente entrata nel personaggio al centro della storia che al primo ascolto ero già rapito. Ne è venuta fuori una canzone bellissima, che ancora oggi meriterebbe una maggiore circolazione.
Come persona conosco pochissimo Carmen, anche perché non abbiamo occasione di incontrarci, visto che entrambi siamo piuttosto nomadi. Mi sembra un’anima piuttosto schiva con cui non è proprio facile connettersi. Come cantautrice la considero al vertice di una mia ipotetica playlist solo italiana. Forse potrebbe darsi di più, essere un po’ più presente, produrre di più. Ma poi perché chiedere di più? La sua dote migliore è proprio quella di restare estranea al circolo mediatico, dove chi più appare più scompare”.

Alessandro Ticozzi