
Se ne è sempre parlato. In anni diversi, a più riprese, circolava la voce che On the Road, il libro simbolo della Beat Generation, sarebbe diventato un film. Kerouac stesso aveva pensato a Marlon Brando, e che Dean Moriarty meraviglioso sarebbe stato! E poi spuntavano altri nomi, attraverso i decenni, e il progetto scompariva e riappariva. Ora On the Road approda veramente e finalmente allo schermo, con la regia di Walter Salles. Così il regista di “I Diari della Motocicletta” ancora una volta canta il viaggio, la giovinezza, l’impeto e l’avventura di una generazione che non si rende conto che avrebbe cambiato tutto.
Realizzato ora, visto ora, filtrato dal tempo, On the Road provoca una sensazione di distacco diversa da quella che avrebbe provocato se si fosse fatto film all’epoca in cui Jack Kerouac scriveva. Un miscuglio indistricabile di critica e di nostalgia. Quest’inno alla giovinezza e alla libertà, quest’inquietudine di andare, l’energia di questi personaggi che bruciano come candele nella loro voglia di esplorare tutto e vivere intensamente, da un lato affascina e trascina, dall’altra la vediamo tradotta in uno sterile farsi di benzedrina e cercare affannosamente nel sesso e nel continuo girovagare da un lato all’altro dell’America la risposta alla loro sete. D’altronde On the Road vive di dualismi e contrasti. Il viaggio che è anche viaggio interiore, alla ricerca di un altrove che non sembra mai esistere. Il fascino maledetto, trascinatore e ammaliatore di Dean Moriarty, che a conti fatti è un pazzo irresponsabile senza coscienza dell’influenza che ha su altre vite. I personaggi che si prestano tutti a doppie interpretazioni (il romanzo fu accusato di misoginia mentre altri videro nella disinibita Marylou una femminista in anticipo sui tempi). Il mix di documentarismo e immaginazione che Kerouac fa dei luoghi e delle persone che descrive. Le pause e le accelerazioni, la fretta ansiosa di vivere alternata all’introspezione, il tutto tradotto dalla pagina scritta al film.
Walter Salles si è rifatto alla versione originale, quella scritta su rotolo, che varia da quella edita nel ’57 già dall’incipit (“Ho conosciuto Dean Moriarty poco tempo la morte di mio padre”). Ha ricercato le strade della loro odissea americana. Ha restituito il ritmo e l’energia del libro e dei suoi protagonisti in una bella prova di regia che sveltisce la narrazione per preferirne gli umori e le atmosfere e si tuffa nello spazio infinito dei paesaggi americani.
Ha scelto per il cast volti giovani e inquieti. Tutti i personaggi di On the Road sono l’alter ego dei veri protagonisti dell’avventura beat e nel film si ritrovano ulteriormente sdoppiati. Sal Paradise, che cela lo stesso Kerouac, è Sam Railey. Il magnetico Dean Moriarty, trasposizione letteraria di Neal Cassady, il grande trascinatore, che bruciava la propria vita con la stessa febbre di libertà, nella versione cinematografica trova il volto di Garrett Hedlund. LuAnne, sposata a Neal Cassady a 15 anni, nel libro è Marylou, sua compagna di droghe, alcol e viaggi, e nel film è Kristen Stewart. Allen Ginsberg/Carlo Marx è Tom Sturridge, Joan Vollmer/Jane è Amy Adams, Carolyn Cassady, la seconda moglie di Neal, alias Camille è Kirsten Dunst e, meraviglioso come sempre, Viggo Mortensen interpreta William Burroughs/Old Bull Lee. Da autentico grande si è presentato sul set con la macchina da scrivere che Burroughs usava e con le sue pistole. E poi la Hudson, protagonista dei vagabondaggi, così come era protagonista La Poderosa in I diari della Motocicletta.