L'Uomo senza volto

04/04/2013

Maine, anni '60. L'adolescente Chuck, con madre pluridivorziata sempre in cerca di un uomo, due sorellastre di cui una super intelligente e l'altra pestifera, ombra di padre pazzo incombente, desiderio di studiare a West Point e difficoltà a scuola, sceglie come proprio maestro per l'estate il professor Justin McLeod. McLeod è il mostro del villaggio: orrendamente sfigurato, vive da eremita, scontroso con tutti, circondato da inquietanti leggende (ha ucciso la moglie, scrive libri pornografici...). Dopo i primi scontri, ovviamente i due diversi diventano amici. Chuck fa progressi, e soprattutto mostra desiderio di apprendere e di vivere, così come sembra tornare alla vita McLeod. Ma c'è qualcosa di strano. La gente mormora. E salta fuori la ragione del suo volto sfigurato: McLeod se l'è procurato in un incidente d'auto in cui ha perso la vita un suo allievo. Allievo o amante?
Fin qui, fino a tre quarti del libro e due terzi del film, la pellicola diretta nel '93 da Mel Gibson e da lui interpretata accanto al giovane Nick Stahal segue pedissequamente il romanzo di Isabelle Holland: realismo psicologico, minimalismo descrittivo che restituisce efficacemente con lirici cenni figurativi un ambiente e un'epoca, una trama di formazione piuttosto scontata ma comunque interessante, vivacità di linguaggio, coinvolgimento emotivo. Insomma, niente da condannare, niente da celebrare eccessivamente. Ma a questo punto le due opere prendono  strade completamente diverse, che rendono interessante il soggetto per la nostra disamina “dal libro al film”.
La Holland, cioè, rende esplicito quello che tutti sospettavamo: Chuck ha tendenze omosessuali  e McLeod è un pederasta. E l'”amicizia” tra i due viene felicemente consumata. Dopodiché, però, la stessa amicizia è destinata a finire bruscamente, proprio perché il sesso, anziché unirli, finisce col dividerli. Al resto ci pensa la vita: Chuck viene ammesso a West Point, e i due non si vedranno più. E con un colpo di coda che rovina tutto l'equilibrio e la veridicità della narrazione, l'autrice decide di far morire McLeod poco dopo la partenza di Chuck che, quando tornerà, scoprirà che l'amico è defunto in un incidente ma lo ha lasciato suo erede.
Gibson opta invece per una soluzione pressoché opposta: se Chuck è omosessuale, la cosa resta solo latente e sottintesa, e quanto al professore si nega recisamente che abbia un “affair” col ragazzino, lasciando appena un vago dubbio circa il pupillo morto (all'esplicita domanda che gli fa Chuck, ribatte “Non te lo dirò mai, risponditi da te stesso”). Ma la gente attorno a loro non lo capisce: molto più facile sospettare qualcuno di pedofilia che immaginare che un uomo e un ragazzo possano essere amici, uniti da Shakespeare e dalla poesia. Dopo una serie di equivoci, i giudici intimano a McLeod di non avvicinarsi mai più al ragazzo ed egli, per permettergli di terminare gli studi, si rassegna a non rivederlo. Un filo di consolazione, davanti a tanta amarezza, resta nel finale, in cui Chuck, anni dopo, il giorno del suo diploma, scorge un volto nella folla....
Sulle prime, viene da pensare che la versione di Gibson – oltre ad adattare la trama al proprio “phisique du role” (ve lo vedete sedurre un quattordicenne?) –  sia più pavida e sdolcinata.
Invece no. Più pavida è la Holland, che lancia il sasso e ritira la mano: che senso ha far andare a letto i protagonisti, con l'intenzione di comprendere se non addirittura approvare, se poi si provvede immediatamente a castigare il “mostro” con la morte?
Mel Gibson invece rende la vicenda più significativa, poetica e persino “rivoluzionaria”. Il tema centrale non è più quello di una pura e semplice educazione sentimentale, ma anche una lode all'amicizia e alla capacità d'amare, e una condanna al perbenismo, al sospetto, alle piccinerie morali che spingono a separare due persone per paura che i loro legami possano divenire “illeciti”. Il dramma, l'amaro del film nasce dal fatto che i due non si vedranno più senza che (prima?) abbiano fatto sesso: anzi, dopo che han condiviso esperienze psicologiche e sentimentali ben più importanti che una pomiciata. È il dramma di due incompresi, due persone unite – e poi divise – a causa del loro essere inadatti al mondo che li circonda.
Dal libro al film, dunque, meglio il film: meno morboso, ma in fondo più scandaloso.

Elena Aguzzi