Regia di Cristophe Honorè
Con Isabelle Huppert, Louis Garrel, Emma De Caunes
123 minuti
Lingue: Italiano, Francese
Tratto dall’omonimo ed incompiuto romanzo di George Bataille, il film di Honorè non solo tenta di risultare trasgressivo e scandaloso senza minimamente riuscirci, ma tradisce più volte l’archetipo, ingaggiando un duello simultaneo con la banalità ed il cattivo gusto, senza tralasciare un accenno a quell’odioso manierismo intellettualoide che è tipico dei film italiani e francesi. E pensare che proprio Bataille, nella postfazione della sua opera, rifiutava di etichettarsi quale intellettuale, preferendo la definizione di “Santo dannato”, che rende benissimo il travaglio dei protagonisti della narrazione, in cerca di un rifugio nell’edonismo malato del sado-maso per alienarsi da una vita frustrante e vuota. Una sorta di redenzione al contrario, un viaggio negli inferi del desiderio, in quel pantano putrido che sono le nostre pulsioni primarie per risorgere, forse, ad una nuova esistenza purificata dal peccato. In questo paradosso sta il senso culminante del libro, che narra sì di un incesto e di tutti i corollari del caso, ma soprattutto di un viaggio interiore che, se da una parte ha come veicolo il piacere, dall’altra attinge ad una cospicua dose di disperazione e di dualità morale. Pierre, il giovane protagonista, oscilla tra la fede nel Dio in cui credeva e in quella rivolta alla madre, deificata, regina di un inferno orgiastico nel quale vivono compiaciuti, ma loro malgrado, tutti i personaggi che con lei si relazionano. La pellicola, invece, sembra più interessata a generare scandalo nel pubblico che ad analizzare la psiche dei protagonisti, tutti così soli nel loro minuscolo mondo mentale da non avere altro contatto con i propri simili che nell’erotismo. Ma è la madre a portare una forza selvaggia, irrazionale e folle nelle pagine di Bataille, ed è sempre lei a condannare se stessa e chiunque la segua, per una sorta di tensione irresistibile verso il decadimento dopo il fuoco della giovinezza (ci spiace notare che la Huppert, qui, non è mai all’altezza di chi impersona). Nulla di simile e di tanto forte è riscontrabile nel modesto lavoro di Honorè, che aggiunge alle proprie colpe un finale squallido e stupido oltre ogni possibile immaginazione.
VOTO: 4