Finalmente eroine

25/08/2005

Cari lettori, esordiamo con questa rubrica nel tentativo di chiarire un fenomeno tutt’altro che recente, nella storia della cultura, e che vuole sopra ogni altra cosa imporre figure femminili determinate e d’acciaio quali alternativa al coraggio maschile, troppo spesso intriso di testosteronica brutalità. Senza alcun rispetto per la cronologia, salteremo di era in era, alla ricerca di donne d’acciaio, portatrici di un corredo genetico predisposto alla battaglia o decise a diventare guerriere per necessità, per scelta, per giusta reazione. Narreremo dell’ariostesca Bradamante per poi passare alla protagonista di “Resident Evil”, ci soffermeremo sulle tenebre sensuali della Dea Lunare ricordandoci poi di Sarah Connor, facendoci dunque beffe  della fedeltà ai modelli narrativi e senza nemmeno porci il quesito se sia giusto oppure no operare viaggi nel tempo. Una cosa ci pare certa: l’uomo sente da sempre e ora sempre e più che mai il bisogno di essere affiancato dall’altra metà del cielo anche in circostanze che per pochi decenni, invero, furono limitate ai soli cromosomi xy.  Non abbiamo dubbi: chi dovesse leggere questa rubrica penserà sia stata affidata ad una donna. Invece no. Vi parla un rappresentante dell’ormai sesso debole, e che sia in effetti debole, vi confesserà, non gli importa più di tanto. Difficile stabilire un punto di partenza per questa analisi, ma dando la prelazione al cinema, mancheremmo di rispetto al personaggio se non iniziassimo col prendere in esame quella che molti critici definiscono come la figura archetipica dell’eroina moderna: Ellen Ripley, al secolo Sigourney Weaver, protagonista di uno dei migliori fanta-horror mai realizzati: “Alien”, di Ridley Scott. Nel 2003 uscì per l’home video un dvd che proponeva la versione originale della pellicola, arricchita dunque da alcuni minuti del tutto inutili alla narrazione. I tempi erano diversi: agli inizi degli anni ottanta non si pensava al film, sin dal primo ciack, come ad un prodotto duplice, da presentare in un primo tempo al pubblico e poi, nel director’s cut, agli spettatori domestici. Che si veda l’ edizione tagliata o quella originale del capolavoro di Scott, conta assai poco. Ci interessa, prima di ogni altra cosa, sapere chi sia Ellen Ripley, in che ambiente si trovi, cosa debba combattere. Siamo a bordo della nave da traino “Nostromo”, facente rotta verso la terra con un carico di minerali. Sette persone di equipaggio. Un primo appunto riguardo la nave. Scordatevi l’ “Enterprise” e tutte le scenografie della “fantascienza pulita” che derivò dai primi film degli anni cinquanta. Niente pannelli limpidi e pavimenti specchiati. “Nostromo” è un cargo, dunque sporcizia ovunque, disordine, luci che talvolta non si accendono, strumentazione e apparati tecnici che funzionano male. Ripley è il secondo ufficiale, ovvero il terzo in comando. Non veste una divisa impeccabile, non ha le ridicole acconciature delle donne asessuate di “Star Treck”, non espleta particolari mansioni. Sembra, a tutti gli effetti, l’elemento meno importante della compagnia. Almeno finchè non subentrano le difficoltà, in forma di repellente parassita agganciato al viso del primo ufficiale che era sceso in ricognizione sopra la superficie lavica di un pianeta sconosciuto (memorabili le sequenze dell’atterraggio, con innumerevoli avarie e guasti che andavano ad infrangere gli stereotipi delle astronavi precedenti). La situazione cambia: da normale burocrazia di bordo, nella quale capitano (John Hurt), vice, tecnici e tracciatore di rotta sono fondamentali, si passa ad una circostanza di estremo pericolo. Il disgustoso “ragno” che imprigionava il volto del malcapitato era vettore di una creatura ben più temibile, in grado di germinare dentro un organismo vivente. La narrazione prende una piega del tutto diversa. Ora si mettono in luce i personaggi che sembravano avere scarsa rilevanza, ed inizia così la loro rivalità. I riflettori sono adesso puntati sull’anonima graduata e sull’ l’ufficiale scientifico (uno straordinario Jan Holm) che, in seguito, si scoprirà essere un robot molto interessato alla sopravvivenza dell’alieno. E’ proprio l’assenza di specifiche caratteristiche a fare di Ellen Ripley il soggetto più versatile. Mostra subito buon senso, prontezza, decisionismo nel rifiutarsi di imbarcare un membro recante possibile contagio. Blocca il portello ed è proprio l’ufficiale scientifico ad aprirlo, ignorando l’ordine della sua superiora. Da questo incidente inizia ad evolversi il coraggio della protagonista. Il capitano è il primo a cadere vittima dell’abominio nato dalle interiora dell’ ufficiale, segue poi uno dei due tecnici. Lentamente, Ripley resta sempre più sola. Nessuno sembra comprendere fino in fondo le potenzialità di Alien, tranne lei e lo scienziato, che però sfugge, non senza fatica, alle leggi della robotica e tenta di eliminare fisicamente la propria rivale. Viene così scoperto e disassemblato, ma non prima che l’ artificiale lanci un beffardo augurio di sopravvivenza agli umani. Viene meno uno dei due nemici, resta il mostro. Ora il secondo ufficiale non deve più usare astuzie, mettere in risalto le proprie notevolissime doti di comando e le capacità intellettive per contrastare il robot. Adesso si tratta di forza e di armi. Ecco la vera nascita della moderna eroina, che sa unire intelligenza a coraggio e che non disdegna l’uso della propria fisicità. Cos’è, infatti, la minaccia? Un macrocefalico “esterno” dotato di inaudita ferocia e incredibili facoltà mimetiche. Memore della più alta fantascienza letteraria, Scott concepisce un invasore in grado di confondersi con l’ambiente facendo leva sull’adattamento. Alien deve restare a lungo nascosto fra tubazioni, ingranaggi e catene: la sua struttura organica somiglia a quella di una macchina metallica. C’è un solo modo per fermarlo: distruggere l’ambiente a cui si è adattato, e Ripley non ci pensa due volte a far saltare la costosissima nave. Ma anche Alien non è solo forza bruta. Si nasconde nella capsula di salvataggio che la protagonista utilizza per fuggire. Ellen deve mimetizzarsi a sua volta, e prima di scaraventare con un fucile ad arpione la creatura fuori dallo sportello aperto, indossa una tuta da astronauta. Fra Alien ed Ripley ci sono notevoli somiglianze: entrambi sanno modificare le proprie abitudini a seconda delle circostanze, entrambi sono versatili e pronti a combattere l’avversario con le sue stesse armi. Non a caso, nei tre seguiti, la macabra intimità fra l’intrepida eroina e la feroce creatura si fa sempre più stretta, fino a raggiungere le vette di insopportabilità dell’ultimo, agghiacciante capitolo. Ma Ellen Ripley rimane nell’immaginario collettivo come esempio di fermezza, astuzia e perseveranza. V’è da notare un fatto: è forte, sì, ma quando le avversità richiedono doti specifiche. Sembra che non sia una sua libera scelta, ma una mal accolta esigenza. Ciò non la sminuisce affatto, resta ovvio. In fin dei conti, siamo di fronte ad un modello radicalmente nuovo, sconvolgente per la sua intensità ed efficacia. Arriveranno, dopo di lei, o erano già arrivate prima, donne che si spingono all’avventura per spontanea iniziativa, seguendo un insopprimibile desiderio di conquista. Se le fanciulle granitiche non cominciano già a farvi paura, continuate a seguirci! In caso contrario, consigliamo di rivedere tutti i film di John Wayne il più presto possibile.
                                          

Carlo Baroni