Roger Corman

04/07/2009

Tra gli anni ’50 e gli anni ’70 vi fu una casa di produzione che più di ogni altra divenne simbolo del cinema di serie B, definito come “spendi poco, gira in fretta e guadagna molto”, l’American International, nota come la “factory” di Roger Corman, dalla quale uscirono talenti del calibro di Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Jack Nicholson, Robert De Niro, Peter Bogdanovich, Jonathan Demme e che rese di culto i volti di Barbara Steele e di Vincent Price.
Basterebbero questi meriti indiretti per rendere Corman un grande personaggio della storia del cinema, ma il regista ha anche dei meriti propri, non limitabili alla rapidità di realizzazione di un film, che spesso veniva girato in soli 3-4 giorni (il record, da Guinnes, è per “La piccola bottega degli orrori”: due giorni netti!). Corman ha dalla sua una spiccata visionarietà e un acuto senso del “nero”, e in tutti i generi da lui frequentati ( horror, gangster, western, fantascienza, psichedelico, persino motociclistici, vichinghi e beach movies) trapela un profondo nichilismo, stemperato (o accentuato) da un umorismo sardonico. Il tutto accompagnato da un aplomb personale di stampo inglese, una profonda modestia, una sensibilità spiccata verso ciò che è invisibile, inconscio, remoto: “creatore di mostri benigni”, come dirà di lui lo scrittore Antonio Scurati (un titolo altamente significativo in questo senso è un film-chicca come “L'uomo dagli occhi ai raggi X”)
Gli sono contro, invece, l’eccessiva fretta, l’incapacità quasi totale di dirigere gli attori (per ogni nome affidabile ci sono almeno 4-5 cani, o gigioni come Price, bravissimi se tenuti a briglia corta, ma che lasciati a se stessi diventano guitti) e delle sceneggiature spesso goffe e zoppicanti (il suo autore di fiducia è Richard Matheson, geniale nei testi originali – “Duel”, “L’ultimo uomo sulla terra”, “Radiazioni BX distruzione uomo” - , ma pedestre quando adatta Poe o Lovecraft o si azzarda a scrivere dialoghi “significativi”). E, per quanto il suo titolo di ingegnere gli abbia lasciato la capacità di amministrare al meglio le poche risorse e i tempi ristretti, un senso finale del tipo “chissà come sarebbe venuto bene questo film con qualche soldo in più”: spesso per esempio il reparto costumi e parrucche lascia alquanto a desiderare, e certe scenografie o intere sequenze sono chiaramente riciclate.
Il genere che vede il nome di Corman spiccare in modo più evidente è l’horror, che negli anni ’60 viene da lui monopolizzato con una serie di pellicole quali “La piccola bottega degli orrori”, “La città dei mostri”,”La vergine di cera” (dove Coppola e Nicholson esordiscono quali assistenti alla regia) e soprattutto il “ciclo di Poe” (il suo autore preferito appunto per la sua capacità di andare a fondo nell'anima nera degli uomini), al quale appartengono “I vivi e i morti”, “Il pozzo e il pendolo”, “Sepolto vivo”, “I racconti del terrore”, “La tomba di Ligeia”, “La maschera della morte rossa”(visivamente il migliore) e il divertentissimo “I maghi del terrore”: tutte pellicole sotto un certo punto di vista risibili , ma con un’abilità nell’uso dei colori e in genere nella fotografia che han fatto scuola e son ben superiori a quelle esibite dalla rivale inglese, la Hammer (quella di Terence Fisher – Christopher Lee – Peter Cushing, tanto per intenderci).
Tuttavia,  riteniamo che il genere in cui Corman dà il proprio meglio, come regista e come produttore, sia il gangster: anche se non può sbizzarrirsi con un uso barocco della cinepresa come nell’horror, egli ci propone storie avvincenti ottimamente interpretate e montate come “La legge del mitra”, “Il massacro del giorno di S. Valentino” e “Il clan dei Barker”, senza contare che negli stessi anni produce “America 1929, ammazzateli senza pietà” del giovanissimo Scorsese e l’ottimo “Dillinger” dell’esordiente John Milius, due pellicole che risentono moltissimo della scuola dalla quale provengono: dopo il boom dei film gangsteristici negli anni ’30, è Corman, con la sua Factory, a rilanciare il genere nell’era moderna, e Scorsese, con “Quei bravi ragazzi”, non lo dimentica.
Quando cambiano le regole produttive, negli anni ’80 e ’90, Corman si ritira, e oggi sono molti a rimpiangerlo e a invocare un suo ritorno dietro la macchina da presa. Oggi è un tranquillo, simpatico signore che non dimostra minimamente i suoi 83 anni e si appresta a sfruttare il nuovo mezzo di comunicazione, internet, per le sue creazioni ultra rapide(è in progetto un cortometraggio per halloween da mandare in rete: a ogni episodio il pubblico deciderà quale personaggio far morire e lui  scriverà e dirigerà il filmato apposito, che verrà messo on line la settimana seguente). La sua ultima prova su grande schermo invece è del 1990 (e già veniva dopo un ventennio di silenzio): è “Frankenstein Unbound – Oltre le barriere del tempo”, un miscuglio di horror e fantascienza che venne a girare in Lombardia. Visitammo il set, dove gli attori più che impegnati a recitare sembravano in allegra vacanza. È sempre stato il limite e il pregio dei film di Corman.

Elena Aguzzi