Qualcuno orripilerà a vedere il nome di uno dei nostri preclari registi,
l’autore di quel capolavoro che è Il sorpasso, affiancato al termine
“serie B”. Quel qualcuno si dimentica l’aggettivo “maestro” e la definizione che
diamo a serie B: non opere artisticamente inferiori, ma produzioni a medio-basso
costo e di genere. Tranne rare eccezioni (Anima persa, per esempio),
nelle sue oltre 50 pellicole Risi si è raramente scostato dalla commedia
all’italiana, che anzi lui stesso, col suo cinema, ha contribuito a
definire. I titoli migliori? Dipende dai gusti ( per esempio Risi è un maestro
del film a episodi, sottogenere che molti detestano), ma credo che all’unanimità
si possano citare almeno (in ordine alfabetico): Il giovedì, In nome del
popolo italiano, I mostri, Profumo di donna, Straziami ma di baci saziami, Vedo
nudo, Il vedovo. Oltre, naturalmente, al citato Sorpasso. Tutte
opere in cui il divertimento si unisce alla malinconia e alla capacità di
mettere alla berlina vizi e ignoranze dell’italiano medio. Possiamo infatti
proseguire citando Una vita difficile, Telefoni bianchi, Il segno di Venere,
La marcia su Roma, Sono fotogenico.... Sono, appunto, le caratteristiche
del “suo” genere: opere corali in cui “ridendo si castigano i costumi” e in cui
è fondamentale avere interpreti di alto livello capaci di trasformarsi in
caricature. Risi ha avuto tra le mani (e, in un certo senso, ha “inventato”) i
quattro cavalieri della commedia italiana: Gassman, Tognazzi, Sordi e Manfredi.
Inoltre, ha lavorato con Mastroianni, Giannini, Pozzetto, Chiari, Peppino de
Filippo, Renato Salvatori, Totò, Monica Vitti, Enrico Maria Salerno, Ornella
Muti, Sofia Loren, Vittorio de Sica, Agostina Belli, Laura Antonelli, Coluche,
Sylva Koscina e la più grande commediante italiana, Franca Valeri. Scusate se è
poco.
A 90 anni Risi può essere contento di se stesso e di ciò che ha dato
alla nostra industria cinematografica e alla nostra immagine all’estero (nel
bene e nel male: il bene cinematografico, il male della nostra “italiotanità”).
È arrivato al traguardo assieme al suo amico-rivale Mario Monicelli: fare
commedia all’italiana fa bene alla salute!
Inizia nei tardi anni ’50, ha il
suo periodo d’oro negli anni ’60, che prosegue (tra alti e bassi...) negli anni
’70. Gli anni ’80, purtroppo, segnano il declino: non è più tanto facile
dipingere l’Italia...e produrre film, comincia l’era della televisione. Gli
ultimi 15 anni , ahimé, sono inesistenti: dopo “Tolgo il disturbo”, del ’90,
realizza solo il dimenticabile “Giovani e belli”, che ha ormai 10 anni. Ha
ceduto il testimone al figlio Marco, che ha saputo trovarsi una propria strada,
passando dalla commedia di costume al film sociale. Dino non ha (quasi) mai
voluto abbandonare i toni più scanzonati ( e cattivi), a costo di scivolare,
talvolta, nella semplice barzelletta: anche in questo modo ha fatto
scuola.
Di cosa incolparlo? Per assurdo, proprio di aver codificato il genere
e di averlo legato agli anni ’60: oggi, dopo le vette toccate da
Risi-Monicelli-Scola ( e Pietro Germi, Franco Rossi, Luigi Zampa, Luigi
Comenicini), nessuno osa più confrontarsi col genere, se non facendolo scadere a
“commediaccia” e “cinepanettone”. Ma per i film che ha fatto lo ringraziamo e
gli auguriamo tanti anni ancora insieme a noi.