
Il
film risale al 2007, ma è giunto da poco
in Italia per il mercato home video, e merita
una serata di tormenti. Finalmente ritroviamo
Gillian Anderson, dopo averla lasciata nei panni
della pensierosa poliziotta di “X-Files”,
e la parte assegnatale dal regista Dan Reed le
calza a pennello: sexy, molto trasgressiva, con
una volontà ferrea e un carattere da guerriera.
La pellicola si inserisce in quel filone auto-giustizialista
mirabilmente portato alle vette da “Il buio
nell’anima” con jodie Foster, e che
rintraccia la proprie origini nelle varie fatiche
dei vendicatori metropolitani anni ottanta, prima
che il politically correct diventasse un’esigenza
(sempre meno sentita). Alice è una donna
di successo colpita da una tremenda sventura,
la stessa che segna il destino del protagonista
di “Duel”, il primo lavoro di Spielberg:
un sorpasso poco felice lungo una strada di campagna,
in piena notte, mentre rientrava da un party con
Dan, un giovane amico occasionale (Danny Dier).
Dalla banalità dell’episodio scaturisce
la violenza, ed è quella che potrebbe subire
ognuno di noi, ogni giorno, a seguito di ciò
che riteniamo ordinaria amministrazione. Reed
ha il grande merito di concedere pochissime scene
alle prevedibili conseguenze di tre selvaggi infuriati
contro un ragazzo male in arnese e una donna,
per lasciare ampio spazio al misterioso legame
(tanto misterioso quanto temporaneo) che solo
i compagni di una medesima sventura possono sviluppare.
Quello che sembrava un rapporto senza futuro e
puramente libertino si trasforma in un tenace
desiderio di vendetta, privo di vincoli morali
e istintivo. E’ nella donna la tempra più
forte, figlia di un militare e abituata a destreggiarsi
nel mondo spietato dell’alta finanza, ottima
tiratrice. Obiettivo sul recupero impossibile
della coppia, nata da un abuso, e costretta a
ricrearsi una parvenza di normalità nel
modo più semplice: rimuovendo, in senso
letterale, sia il trauma che la sua scaturigine.
Non esiste la legge, nel film, e non esiste alcuna
forma di etica. Si ritorna alle origini: occhio
per occhio e null’altro ad interferire.
La fisicità dei protagonisti è ritratta
con qualche pudore, la loro vita sessuale diventa
imbarazzante quanto la lesione irreversibile all’occhio
riportata dal ragazzo. E’ impacciata, incerta,
come fra chi si accosta per la prima volta all’amore
con emozioni che vanno dalla paura al desiderio
inestinguibile, dalla dolcezza al disgusto. Si
impone un “ripristino di sistema”,
partendo da zero, annullando paure e rimorsi.
E’ il dolore il legame più forte,
ed è sempre dal dolore che nasce il bisogno
di un rinnovamento. Se la vita si divide in un
prima e in un dopo, la sola cosa da fare è
nell’atto privo di pensiero, come il respiro,
nell’oscura libertà di chi resta
solo con il proprio incubo, una sorta di seconda
nascita. Diretto con caparbio spirito realistico
e lontano dall’ auto-compiacimento, “Closure”
mette in risalto le doti migliori della Anderson,
fra le attrici contemporanee più sottovalutate,
capace di passare con disinvoltura da seduttrice
cinica a dark lady combattiva, sempre restando
sotto quel velo di stanca tristezza che già
all’epoca del suddetto, mitico telefilm
i suoi Fans avevano imparato ad apprezzare. Forza
interiore, spirito combattivo e una nuova, intensa
seppure transitoria complicità con il mondo
maschile un po’ in affanno (quello onesto
e non violento), ecco il ritratto della donna
di inizio millennio. Sebbene dopo la cruda vendetta
non sussistano più motivi per continuare
l’alleanza, Reed sa bene che se per l’uomo,
creatura incline alla distruzione, non esiste
un domani, le risorse femminili, da sempre, rimangono
illimitate.