Negli abissi dell'anima in compagnia di Fuller

05/03/2011

"Il Cinerigattiere", rubrica a cura di MARIO TIRINO

Un Samuel Fuller d’annata ci trascina nei meandri della mente umana fino a farci varcare la soglia tra ossessione e pazzia. La storia è, in realtà, tra le più semplici: Johnny Barrett, giornalista ambizioso mirante al premio Pulitzer, decide di farsi internare in un ospedale psichiatrico fingendo di essere un feticista ossessionato dalla passione per sua sorella, in realtà la fidanzata Cathy, per poter indagare dall'interno su un caso di omicidio. Tramite i contatti con tre testimoni oculari dell'atto criminoso, cercherà di risalire all'identità del colpevole, ma si ritroverà a combattere per la sua stessa sanità mentale.
Un cupo dramma dal sapore noir, insomma. Ma Fuller non ha alcuna intenzione di ripercorrere strade già battute. Gioca con i cliché (la voce narrante, l’investigazione, le bugie e i doppi giochi, etc.) per raccontarci una storia che va molto aldilà della semplice connotazione di genere. 
I tre testimoni con cui Barret deve entrare in contatto sono tre pazienti dell’ospedale psichiatrico: un veterano della guerra in Corea che aveva disertato ed era passato dalla parte dei comunisti e che ora pensa di essere un generale in azione; un ragazzo di colore convinto di essere il fondatore del Ku Klux Klan che incita i suoi compagni al razzismo e al suprematismo bianco – era  stato sfruttato come cavia da ragazzo per gli esperimenti di integrazione nera nelle scuole; infine, uno scienziato premio Nobel, inventore di alcune armi di massa e impegnato nel nucleare, che è regredito allo stadio infantile e adesso ha solo voglia di giocare e di disegnare. Tre personaggi che sono la metafora dell’anti-comunismo ossessivo americano, del razzismo e dell’intolleranza bianca e della scienza incontrollata e pericolosa. Questi finiscono per essere uno spaccato della società americana dell'epoca (ma che pericolosamente si rispecchia in quella attuale), incapace di venire a patti con i propri demoni interiori e preferisce di gran lunga che questi si manifestino all’esterno sotto forma di nemici da combattere. Fuller ci racconta una società in preda all’odio e al panico dove è sufficiente un nonnulla per scatenare una caccia all’uomo, secondo il classico stile aspro e privo di retorica che lo contraddistingue.
Partendo, da un plot molto semplice, il regista statunitense ci racconta la natura contorta, ma anche difensiva, della mente umana e i meccanismi che essa attiva per illuderci di non vivere in una realtà deludente ed opprimente. È quello che accade ai personaggi e al protagonista stesso del film, che sprofonda nel caos e nel delirio, nell’instabilità mentale, ad ogni colloquio con uno dei testimoni/pazienti, man mano che si avvicina alla soluzione del caso. Una dissociazione dalla realtà dalla quale sembra potersi salvare quando, finalmente, scopre l’assassino. Ma la sua mente è ormai compromessa e a nulla vale la conquista dell’ambìto Pulitzer: Barrett, alla fine, è perduto.
Siamo dinanzi a un cinema altamente politico, immerso in atmosfere nere e poi votato all'inchiesta psichiatrica, dietro cui si cela, in realtà, una riflessione sulla complessità e ricchezza della natura umana, ma anche sui suoi misfatti e  abissi.

Il corridoio della paura (Shock Corridor)
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Samuel Fuller
Interpreti : Peter Breck (Johnny Barrett); Constance Towers (Cathy); Gene Evans (Boden); James Best(Stuart); Hari Rhodes (Trent); Larry Tucker( Pagliacci); Paul Dubov( dottor J.L. Menkin); Chuck Roberson( Wilkes); Neyle Morrow (Psycho); John Matthews (dottor L.G. Cristo); William Zuckert ('Swanee' Swanson); John Craig( Lloyd); Philip Ahn (dottor Fong).
Fotografia: Stanley Cortez
Montaggio: Jerome Thoms


Musica: Paul Dunlap

Produzione: Samuel Fuller

Origine: USA 


Anno: 1963

Antonello Trezza