L'ironico Dylan di Sclavi, Soavi e Rupert Everett

06/04/2011

"Il Cinerigattiere", rubrica a cura di MARIO TIRINO

In onore dell’uscita sugli schermi cinematografici dell’attesissimo Dylan Dog, Cinerigattiere affronta quello che, per certi versi, è stata una sua prima rivisitazione sul grande schermo: DellaMorte DellAmore.
Film del 1994, diretto da Michele Soavi, DellaMorte DellAmore è diventato in poco tempo un cult per gli amanti del genere horror vista anche l’aspettativa su questa pellicola. Aspettativa dovuta ovviamente alla convinzione, rivelatasi sbagliata, che questa pellicola parlasse davvero del famoso Indagatore dell’Incubo ideato da Tiziano Sclavi (autore anche del romanzo da cui questo film è tratto).
Francesco DellaMorte è il custode del cimitero di Buffalora, piccolo paesino lombardo. Il cimitero è però soggetto ad un fenomeno alquanto strano: i morti (chiamati da Francesco “ritornanti”) tornano in vita e devono essere di nuovo uccisi. Francesco incontra poi Lei, un’affascinante donna che ha perso il marito; i due si innamoreranno ma la donna verrà morsa da un ritornante e quindi uccisa da Francesco. Ma era veramente morta? I dubbi e le  successive brutte certezze invaderanno la mente del giovane e tenebroso guardiano, che cadrà in un tunnel di morte (e di amore) fino a rendersi conto di non poter fuggire dalla propria condizione.
Riflessivo, filosofico, onirico, irriverente e sopra le righe, fuori dai classici schemi horror (in perfetto stile Sclavi) il film risulta di difficile lettura sul grande schermo. Ad una prima visione può risultare niente altro che una serie di scene horror-trash con zombie parlanti che guidano motociclette, sanno baciare e sanno amare. Soprattutto quest’ultimo risulta essere un elemento portante di tutto il film, in quanto Francesco cerca nell’amore, appunto, un rifugio dall’incubo, tristemente reale, che è la sua vita dove non è più in grado di riconoscere la differenza tra i morti e i vivi - fino a ritenere necessario “portarsi avanti col lavoro” (cit.) e invischiandosi così in una serie di efferati omicidi di cui però non riesce mai ad essere accusato. Perché è in realtà questo quello che Francesco sta cercando: prima nel braccare l’Amore poi nel grottesco tentativo di risultare colpevole di omicidio, tutto quello che vuole è di uscire dall’anonimato che lo soffoca. Ciò risulterà emblematico nella scena finale del film che mira a lasciare un messaggio sottile e, allo stesso tempo, crudele: egli non riuscirà a scappare dalla sua vita, dal paesino in cui è confinato (non esiste nulla al di fuori di Buffalora) e non troverà il vero Amore, quello che poteva salvarlo definitivamente.
In un'orgia di effetti speciali artigianali (nessun utilizzo del digitale), dozzinali ma ben contestualizzati nella tradizione dell’horror italiano (come insegna Dario Argento) possiamo godere di un buon film (ironico e riflessivo), diretto con mano ferma da Soavi, aiutato da una buona scenografia e un’ottima fotografia. Gli unici a risultare degni di nota tra gli attori, invece, sono Rupert Everett, preciso nel suo carattere ironico, scanzonato, indifferente in perfetto stile “Dylan Dog” e François Hadji-Lazaro nella parte di Gnaghi, l’assistente ritardato di Francesco, che risulterà essere, alla fine, l’ultimo elemento di umanità della psiche del protagonista, l’unico amico al mondo.

DellaMorte DellAmore
Regia: Michele Soavi
Soggetto: Tiziano Sclavi
Sceneggiatura: Gianni Romoli
Interpreti: Rupert Everett (Francesco Dellamorte); François Hadji-Lazaro (Gnaghi); Anna Falchi (Lei).
Fotografia: Mauro Marchetti

Montaggio: Franco Fraticelli

Musica: Manuel De Sica
Produzione: Tilde Corsi, Gianni Romoli, Michele Soavi

Origine: Italia- Francia 
Anno: 1994

Antonello Trezza