Milano da scoprire 1: Il Quartiere della Maggiolina
27/07/2018
Iniziamo oggi una sottorubrica del Viaggiatore Curioso, alla scoperta dei Segreti di Milano. Per quanto tu possa conoscere una città, che tu vi sia nato o vissuto o che tu vi sia tornato con amore e con occhi di turista sempre nuovo, vi sarà sempre un angolo da scoprire che ti lascerà col fiato sospeso, girando per caso a lato di una via dove sei passato mille volte, un itinerario nascosto, seguendo il filo della Storia, della Letteratura o della Leggenda, un’architettura sorprendente, un passato sepolto fitto di notizie curiose.
Uno dei modi che vi consigliamo per andare alla scoperta di Milano è affidarsi ad uno dei tanti percorsi di Milanoguida, un ricco programma di visite guidate della città. Accanto agli Itinerari “classici” (i Musei, i Monumenti, le Grandi Mostre, le Chiese e Basiliche, le Meraviglie di Lombardia) ne troviamo altri che si inoltrano nel cuore di una Milano insolita e insospettabile, fatta di ville e giardini a ridosso del suo febbrile movimento, e di piccoli gioielli nascosti. Accompagnati nella passeggiata tematica da una guida esperta torniamo indietro nel tempo, sulle tracce di una Milano che ha sempre qualcosa da rivelare. E cominciamo proprio da qui, dal Quartiere della Maggiolina, “la dove c’era l’erba...”, una periferia che non è fatta, come si potrebbe erroneamente credere, di palazzoni anonimi, e che sorprende per l’armonia dei suoi giardini solo a pochi passi dalla Stazione Centrale. Un Quartiere nato nel 1910, dove erano solo campi ed esisteva solo una Cascina, la Maggiolina. Da “magiuster”: fragole. Insomma, la nostra Strawberry Fields.
Intanto localizziamo il nome, Maggiolina. Perché quello che in origine si chiamava Quartiere della Maggiolina, prendendo il nome e il luogo della vecchia cascina, sorge a ridosso di Viale Sondrio ed è chiamato anche Quartiere dei Ferrovieri, perché lo attraversava la vecchia ferrovia Monza-Milano. Erano villette semplici costruite per il ceto medio, senza gli artifici del liberty, ma contraddistinte dai decori delle facciate, ognuna col proprio pezzo di giardino, come quelle che vediamo lungo via Timavo o sull’acciottolata Via Gasparo da Salò che conserva ancora l’antico selciato a copertura del Seveso. Ma quello che oggi chiamiamo Quartiere della Maggiolina è qualche isolato più a nord, ai confini del Villaggio dei Giornalisti. Perché questa emigrazione del nome? Perché il quartiere residenziale costruito negli Anni 60 fu eretto dove c’era un ristorante di periferia, chiamato la Maggiolina in omaggio alla vicina cascina. E da allora il nome restò ad indicare quell’angolo di Milano.
Incamminandoci da una Maggiolina all’altra attraversiamo il Quartiere Mirabello. Qui le case si fanno più eleganti e pretenziose, siamo a una via di mezzo tra la città giardino e la città industriale come Crespi d’Adda, poiché il Quartiere Mirabello era nato col proposito, poi lasciato a metà, di costruire un villaggio residenziale per gli impiegati della nascente zona industriale. Qui l’origine del nome è chiara, poiché il quartiere prende il nome dalla splendida Villa Mirabello, dimora quattrocentesca nata come casa di caccia e delizia ai margini della città. Acquistata a metà del XV Secolo da Pigello Portinari cambiò diversi proprietari nel corso dei secoli fino a divenire patronato per ciechi di guerra.
Siamo ormai all'inizio del Villaggio dei Giornalisti, così chiamato per i suoi fondatori che ebbero l’idea di destinare un’area della città ai liberi professionisti. Le vie principali del quartiere portano i nomi di giornalisti celebri. L’elegante quartiere residenziale era provvisto, già alla sua nascita negli Anni Dieci, di linee telefoniche, una navetta che collegava al centro città e un servizio di sicurezza. Alle case, che un tempo sorgevano distanziate l’una dall’altra, se ne sono aggiunte altre infittendo l’urbanizzazione, sommando epoche e stili diversi.
Camminando per le sue vie si trovano alcune perle architettoniche. Come La Palafitta, l'abitazione privata dell'architetto Luigi Figini, una struttura in cemento armato sostenuta da pilastri, costruita nel ’36, che si ispirava ai dettami del razionalismo e agli insegnamenti di Le Corbusier. O come gli igloo, espressione dell’estro creativo di Paolo Cavallè. Del suo ardito esperimento del ’46 ahimè poco resta. Le due case a fungo furono demolite alla fine degli Anni Sessanta e dei dieci igloo ne sono sopravvissuti otto, sommersi dalle case circostanti e dai condomini che li sovrastano dall’altro lato della ferrovia. Restaurati (le norme di oggi non ne rendono agibili alcune parti), destano ancora stupore. “Sembra la casa dello Hobbit!” esclama qualcuno. Ed è qui, in via Lepanto, che termina il percorso di Milanoguida, alla scoperta di un’altra faccia di Milano.
Per questo e altri itinerari scopri www.milanoguida.com
Gabriella Aguzzi