Di Nick Lyon
USA 2011
91 min.
Lingue: Italiano
Dopo un’epidemia di zombi rimangono, a grandi linee, tre categorie di sopravvissuti: quelli che chiameremmo inforcers: bestioni armati di mazze da muratore o mitragliatrici pesanti, abili a sbaragliare dozzine di morti viventi per volta, i nerd, che si salvano grazie all’intelligenza e alla capacità di sfruttare al massimo le poche risorse rimaste, e i leader, in genere ex militari, che guidano le compagnie formate dai suddetti individui, i quali, da soli, hanno sempre pessime strategie a lungo termine. Ci sarebbero anche gli sfigati inermi che si aggregano sempre e comunque ai più forti, dopo essere stati nascosti per una settimana in gabinetti pubblici mangiando barrette kinder e bevendo dal water o cose del genere, ma non riteniamo abbiano la levatura di formare una vera e propria categoria. Nella prima, e speriamo anche ultima, fatica di Nick Lyon, veniamo ad apprendere dell’esistenza di una nuova categoria che può sopravvivere ai revenanti: quella dei mentecatti, che sono talmente stupidi da essere poco al di sopra degli zombi, e dunque abili ad adattarsi, proprio come gli zombi, ad un mondo post apocalittico. Questo è, senza dubbio, uno dei peggiori film della categoria che sia mai stato girato a livello tecnico, di sicuro il più imbecille sotto il profilo della trama, che ricalca quella più classica ed usata, ovvero il travaglioso viaggio verso una mitica destinazione non raggiunta dal contagio, e dove gli ultimi umani resistono, nella speranza di trovare una cura e di dar vita ad un nuovo mondo eccetera, eccetera. L’inizio di “Zombi Apocalypse” è eccellente. Pellicola sgranata, immagini di grande impatto, fascinazioni da Zac Snyder e tutto quello che ci sarebbe voluto per una visione dignitosa, ma già dopo la prima scena ci accorgiamo di essere di fronte ad una fregatura. Umani che si fanno mordere perché indugiano per troppo tempo sul cadavere di un amico ucciso (e che, per la natura stessa dell’epidemia, non tarda a trasformarsi in zombi, come si dovrebbe sapere), esploratori che insistono nel non fare il minimo rumore ma che poi, entrati in un supermarket, strillano: “Ci sono vivi qui?”, come se potesse uscire una testa morta a rispondere: “no, mi dispiace, provate al bar di fronte”. Armi che compaiono e scompaiono, come una mitragliatrice posizionata sopra un carrello, vitale per la sopravvivenza della compagnia ma, per certe sequenze, evaporata nel nulla. Arcieri che raccomandano di recuperare le frecce, e non lo fanno, ma tanto non serve, dato che, come nei giochi di ruolo meno sofisticati, le faretre sono inesauribili, e si riempiono da sole quando vengono a mancare i dardi. Stesso meccanismo per i caricatori delle pistole, capaci di contenere cinquanta, sessanta colpi se non di più (nella vita reale, ne contengono in media quindici, ma qui non si svuotano mai). E poi la terrificante, tragicomica scena finale nel porto, dove, da alcuni container, sbucano delle tigri zombi (si sa che il commercio di tigri è legale e molto frequente), che sono agilissime e fortissime, però possono essere tenute a bada da una gracile fanciulla che sventola davanti a se una balestra scarica (ora i dardi sono magicamente terminati), mentre gli altri combattono ma ripresi solo dal busto in su, perché le tigri zombi sono elaborate graficamente così male da non poter essere accostate agli attori. Difficile ricordare qualcosa di peggio.
VOTO 1 (un punto per l’incipit)