
Quando Martin Scorsese ha conquistato l’Oscar con “The Departed” avrebbe dovuto dividere il merito con Andrew Lau e Alan Mak, i registi hongkonghesi autori della trilogia “Infernal Affairs” da cui “The Departed” trae spunto. Di più: ricalca quasi interamente il primo capitolo di “Infernal Affairs” e ciò che sembra spontaneamente aggiunto (il passato dei protagonisti) deriva da “Infernal Affairs 2”. In pratica, non ha inventato nulla se non cambiato lo spirito, perché “Infernal Affairs” ha un ritmo molto più serrato e racconta una storia di redenzione (e non di giustizia come il suo remake) sotto le sembianze di action movie.
Questa premessa per dire quanto abbiamo atteso il ritorno della coppia registica Andrew Lau e Alan Mak: il ritorno è con un thriller psicologico emozionante ed estetizzante al contempo, “Confession of Pain”, che abbiamo avuto la fortuna di vedere in anteprima al Far East Film di Udine, quale punta di diamante delle sorprese dell’Estremo Oriente cinematografico. Vederlo sui nostri schermi sarà difficile: dovremo attendere il mercato DVD o la distribuzione satellitare (o attendere il già annunciato remake statunitense della squadra Scorsese).
Abbiamo definito “Confession of Pain” un thriller. Sarebbe più esatto definirlo un giallo se non che, spiazzando gli spettatori, i registi rivelano quasi subito il volto dell’assassino. Ciò che importa è scavare nel suo passato, nell’esternazione e nel percorso di un dolore, come enunciato dal titolo, che al delitto ha condotto. Dolore che è un doppio dolore, di chi è indagato e di chi indaga, scoprendo i segreti nel cuore nero di un amico. L’indagine si rivela dunque una caccia al movente anziché all’assassino (del resto non è forse anche la lezione di Hitchcock? noi sappiamo qualcosa che l’investigatore non sa...) e la storia di riscatto del detective alcolizzato dopo il suicidio della moglie si fa storia di dannazione all’interno di segreti che non avrebbe voluto scoprire. La tecnica registica è di mostrare i fatti a sprazzi e schegge quasi fossero flash back per poter ricostruire il puzzle solo alla fine, il tutto sullo sfondo meraviglioso di una Hong Kong nebulosa, livida, struggente. Una storia d’amore, di identità perdute, di anime perse, di emozioni a brandelli che andrebbe vista e rivista.
Lo interpretano i due volti maschili più belli del cinema asiatico, Tony Leung e Takeshi Kaneshiro: mentre il secondo spacca lo schermo nella sua esuberanza e nella sua perdizione sulla via dolorosa dell’alcolismo, il primo offre un’interpretazione lunare , tutta mezzi toni, spezzata da bagliori luciferini. Perfetto.