
Se
il genere gangster è quello in cui nell’ultimo
decennio la cinematografia dell’Estremo
Oriente sembra esprimersi maggiormente (ma sta
emergendo anche la commedia come avremo modo di
esaminare nei capitoli futuri) sono sostanziali
le differenze tra Cinema Gangster di Hong Kong
e Cinema Gangster Coreano così come lo
sono le culture che lo ispirano. La vetrina che
offre a noi, pubblico occidentale, i maggiori
termini di paragone è il Far East Film
di Udine che anche quest’anno ha presentato
un ampio ventaglio di novità sul genere.
Se dunque il Cinema hongkonghese è più
estetizzante e stilisticamente sofisticato e affonda
le sue radici in un mondo di triadi e di infiltrati,
puntando il faro sul mondo poliziesco contrapposto
alle mafie imperanti e anch’esso corrotto,
il Cinema Coreano guarda all’interno del
mondo gangster in sé, ai suoi sentimenti
e conflitti interiori, ad una piccola umanità
pervasa da tradimenti tra consanguinei e dal senso
dell’onore. “Sei un gangster?”
è la domanda ricorrente quando incontri
un individuo che si distingue per il suo fare
spavaldo o le spalle tatuate. Poiché essere
gangster fa parte del vivere comune, un vivere
ingabbiato però da regole ferree, prima
fra tutte la devozione incondizionata per il boss,
a cui sacrificare vincoli d’amicizia e la
vita stessa. Un vivere fortificato da piccole
sicurezze al cui interno si affaccia l’anelito
a un’esistenza “normale”, il
malessere di uccidere, la fatica di guardarsi,
i regolamenti di conti a colpi di pugnale secondo
un codice inesorabile seguendo l’antica
tradizione, la caducità di una salita al
termine della quale attende ineluttabile la discesa.

Se
i due esempi più belli di questi ultimi
anni restano “Friend” di Kwant Kyunk-taek
e “A Bittersweet Life” di Kim Ji-woon
(arrivato sui nostri schermi come una meteora
l’estate scorsa, ma fortunatamente recuperabile
in DVD), anche tra i film presentati a Udine quest’anno
tutto ciò è evidenziato in tono
particolarmente sentito. Come in “A dirty
Carnival” (“Biyeolhan geori”)
di Yoo Ha, paragonato allo scorsesiano “Mean
Streets” per il clima di piccola delinquenza
che vi si respira, al quale aggiunge un’impennata
in più di originalità il tradimento
dell’amico regista che carpisce i segreti
più intimi del gangster protagonista, in
un momento di debolezza e d’abbandono, allo
scopo di farne un film. Una storia efficace, se
non trascinasse troppe lungaggini nel capitolo
sentimentale.
Abbonda di trovate originali, fino a mostrare
la forzatura, “Righteous Ties” (“Georukhan
gyebo”) di Jang Jin, specializzato nel “comic
noir”. Ma dove altre volte sapeva fondere
i due generi nella mistura del black humor, qui
il regista coreano si fa più discontinuo
limitandosi ad alternare in modo quasi stridente
trovate drammatiche a trovate umoristiche, originalità
e convenzione. E, dopo un primo atto quasi parodistico
del genere carcerario, termina nel conflitto tra
fratelli di sangue e vendette compiute sotto la
pioggia battente.
Gioca su repentini cambi di registro, dai momenti
parodistici alla brutalità degli omicidi
passando per il melodramma, anche il film che
si è aggiudicato il Premio del Pubblico
2007 “No mercy for the rude” (“Yeui-eomneun
geotdeul”) dell’esordiente Park Chul-hee,
storia di un killer muto che uccide con stile
chi stile non ha e attorno a cui ruota tutta un’umanità
alla deriva in un ambiente spoglio fatto di silenzio
e solitudine.
Completa la tetralogia gangster coreana presentata
a Udine “Cruel Winter Blues” (“Yeolhyeol-nama”)
di Lee Jung-bum, ruvido e poetico incontro tra
un piccolo gangster e la madre dell’uomo
che deve uccidere. In uno splendido e quasi deserto
paesaggio rurale di forte suggestione domina la
prova attoriale dei due protagonisti (Sul Kyoung-gu
è l’apprezzato interprete di “Nemico
Pubblico”) che nella loro solitudine instaurano
uno scontroso rapporto di sostituzione familiare
destinato alla tragedia.
E sempre, in ogni film gangster, aleggia la malinconia
del declino, l’infelicità di un microcosmo
potente ma decadente condannato dalle sue stesse
regole, dominato dalla vendetta, pervaso dal grigiore
di una pioggia che stempera odio e sangue e tutto
lava per dimenticare. Perché i gangster
sono, in tutta la tradizione noir, gli ultimi
tristi eroi.