Lan Yu

13/07/2010

Regia: Stanley Kwan
Genere: drammatico
Durata: 86 min.
Nazione: Hong Kong
Anno: 2001
Cast: Hu Jun, Liu Ye, Su Jin, Lu, Fang, Li Huatong, Zhang Yongning


Handong è un uomo d'affari di successo che usa metodi piuttosto spregiudicati. Un giorno un suo collaboratore gli presenta Lan Yu, uno studente che vende il suo tempo ai ricchi imprenditori che l'amico gli presenta. Tra i due nascerà un sentimento, ma Handong cercherà con tutti i mezzi di negare la sua passione.

Presentato a Cannes nel 2001, Lan Yu racconta con dolore il cantiere ancora aperto della Cina contemporanea. Una nazione che stenta a mettere insieme gli insegnamenti del compagno Mao e il dilagante arricchimento dato dell'apertura verso l'esterno voluta dal compagno Deng. Un cantiere dentro cui covano segrete passioni e altrettanto segrete violazioni, che segnano con la loro impensabile esistenza la differenza che corre tra il passato e un futuro incerto e drammaticamente lontano dalla percezione di chi se ne scopre travolto.
Lan Yu è il nome di uno dei protagonisti di una storia omosessuale nella Pechino degli anni ottanta. Una scelta coraggiosa quella di raccontare qualcosa cui il Partito non riconosce il diritto all'esitenza.
E tale è stata anche la scelta di Stanley Kwan di girare una storia tratta da un libro cult, uscito in rete sotto pseudonimo e mai stampato fino a pochi mesi fa, per la prima volta in Italia.

Chen Handong, il narratore, incontra Lan Yu, uno studente che arrotonda con la prostituzione le sue magre entrate e il cui sogno è di andare in America. Handong se ne innamora e lo sfugge per la gran parte della sua vita, ma quando finalmente cederà, sarà soltanto fino a quando il destino degli sfortunati, archetipi amanti verrà interrotto da un incidente al cantiere in cui Lan Yu lavorava, e che fa da sfondo e metafora delle trasformazioni in atto nella società cinese all'epoca di Tiananmen.

Stanley Kwan sceglie una chiave minimale e filma i suoi protagonisti per lo più in interni, fumosi e caotici, come ci si immagina debba essere il covo di persone che condividono passioni proibite. Ma il divieto non è mai menzionato all'interno del racconto, c'è solo un fugace riferimento a una normalità sociale, al ricorso a un matrimonio come barriera contro la diversità, avvertita come una fase passeggera e abiurata a piacimento. La diversità è invece nell'evoluzione del quotidiano che, da schermo per la rigida morale politica diviene presto dispensatore di regole per un veloce arricchimento, e per un'ancor più veloce corruzione. La prigione, destino degli omosessuali ai tempi di Mao, è adesso la punizione per la spregiudicata appropriazione di tecniche di arriccchimento importate dall'occidente. Handong riesce comunque a sfuggire, ma non senza l'aiuto di Lan Yu, il quale rinuncia per lui al suo programmato viaggio negli Stati Uniti, e rivende tutto quel che ha per pagare l'uscita di prigione del suo amante.

La fotografia sporca e l'uso ambiguo delle luci rendono appieno il senso della trasformazione morale, prima ancora che sociale, che avvolge il destino di Handong. Lui si interroga a più riprese sul senso di un amore così violento per un altro uomo, e la risposta è al suo fianco: nella docile accettazione di Lan Yu, che ama anche non riamato e nulla chiede in cambio, se non la possibilità di continuare ad amare. Come un'eroina del passato la figura di Lan Yu rispecchia la colpa e l'inderogabile desiderio di una passione che colpisce spesso quelli che non hanno il rifugio di una buona posizione sociale. E come sempre accade in questi casi, a far le spese di un sentimento su cui nessuno ha mai il controllo sarà l'anello più debole, colui che ama di più.
La recitazione intensa e misurata dei protagonisti stimola la complicità dello spettatore, e crea un ottimo sottotesto all'universalità delle passioni, e al fatto che esse, spesso, travalicano anche le impenetrabili barriere di un sistema politico granitico e apparentemente immutabile.
Stanley Kwan accompagna i due con amore e riveste il suo racconto con un senso di imminente tragedia, come a perenne monito contro l'illusione che ci possa mai essere un lieto fine. Ma quel che scopriremo è che non c'è quasi mai, meno ancora per chi non accetta fino in fondo la sua reale natura.

Anna Maria Pelella