
Se “Il Cacciatore” di Cimino resta il film simbolo sull’Amicizia, ode alla giovinezza perduta, era inevitabile che John Woo, che dell’amicizia virile fa uno dei temi cardine del suo Cinema, lo omaggiasse esplicitamente ripercorrendo il cammino nella crudezza della vita che lascia i suoi segni indelebili nel sogno giovanile e nella promessa tradita di un’amicizia eterna. In occasione del Leone d’Oro veneziano alla Carriera di John Woo vogliamo prendere in esame il sentimento che lega gli eroi maledetti del suo Cinema, partendo proprio da “Bullet in the Head” (“Die xue jie tou, 1990), che al modello del Cacciatore s’inchina con cinefila passione, e non solo per l’ambientazione della guerra in Vietnam. “Non ti lascerò laggiù” promette Michael a Nick, ed è la stessa promessa che Ben/Tony Leung fa a Frank /Jacky Cheung quando ancora sono vicini i tempi spensierati della loro giovinezza incosciente e l’amico più saggio si assume il compito protettivo verso l’amico fragile. Sono diversi i tempi cinematografici e John Woo, regista d’azione, ritma nel montaggio serrato, in una colonna sonora nostalgica e nell’eco delle pallottole quello che Cimino dilatava nell’elegia della scena del matrimonio (anche qui tutto ha inizio con un pranzo di nozze) e dell’ultima notte prima della partenza per la guerra. E se Cimino procede tra indugi e salti narrativi, John Woo si concentra nel caleidoscopico susseguirsi delle avventure, come da tradizione di Hong Kong, ma le tappe sono le stesse: la cattura e la tortura psicologica, la risata folle di Tony Leung che come De Niro imbraccia le armi contro i suoi aguzzini, l’incontro con un “francese” (figura laida e corrotta nel Cacciatore, carismatico killer eroe in Bullet in The Head, figura assai simile al protagonista di The Killer), l’inutile ritorno a recuperare l’amico perduto.
Ma ora i due capolavori si disgiungono, e non solo stilisticamente. Il terzo amico del gruppo nel film di John Woo è colui che la sete dell’oro porta a tradire. Perché il suo Cinema di rabbia e passione si nutre anche di un altro tema all’amicizia indissolubilmente intrecciato: il tradimento. Le sue storie, da “A Better Tomorrow” a “The Killer”, sono crogioli di amicizie violente, tradite, perdute, rimpiante alle quali se ne sovrappongono di nuove e improbabili, tanto più forti e vere quanto apparentemente impossibili. E così in “Bullet in The Head”, mentre “il francese” Luke si fa loro guida, l’amico di gioventù Paul, abbagliato dal sogno ossessivo di ricchezza, abbandona gli altri due fino a piantare una pallottola nella testa di Frank. La guerra li ha cambiati, la vita li ha trasformati in uomini disillusi, l’avidità li ha divisi. Ben si troverà a dover uccidere i due amici di un tempo, uno per pietà, l’altro per vendetta. Riportando a casa il teschio di Frank per mantenere la vecchia promessa e sfidando Paul in un duello automobilistico che segna la fine di ogni utopia (nella versione di Hong Kong il regista rinuncia alla spettacolarità della scena chiudendo il tutto con un colpo secco di pistola durante il consiglio di amministrazione, dove Ben irrompe, vendicatore solitario).
Per contrasto ciò che la guerra disgregava in “Bullet in the Head”, unisce e rafforza, nell’asprezza della battaglia, in “Red Cliff” (Chi bi, 2008). Sontuoso capolavoro di combattimenti e colori, il film, tutto da gustare nella sua epica bellezza di 5 ore, rallenta il suo respiro nelle scene in cui lo Stratega Zhuge Liang e il Vicerè Zhou Yu si accostano l’un l’altro nello studio di una tattica che diviene complice amicizia. E’ l’amicizia che nasce nel combattimento fianco a fianco, come accade nei suoi gangster movie.

John Woo orchestra una sinfonia di spari per il canto funebre dei suoi eroi dannati e si fa poeta di quella “Heroic Bloodshed” (“Bloodshed of Two Heroes” il titolo inglese per “The Killer”, così come “Bloodshed in the Streets” quello per “Bullet in the Head”) che accomuna i suoi gangster traditi dai boss, dagli amici e dai tempi, anacronistici emblemi di un’epoca superata ai quali non resta che il sapore amaro della vendetta.
In “A Better Tomorrow” (Ying hung boon sik, 1986) la storia di rancore e inappagata redenzione tra il fratello gangster, uscito di prigione, e il fratello poliziotto che lo incolpa della morte del padre si intreccia a quella di fedeltà e tradimento tra i vecchi membri della banda ormai sciolta, e in una narrazione incalzante e concisa Woo sovrappone i diversi volti dei legami di fratellanza. Allo stesso modo in “The Killer” (Dip Huet seung hung, 1989), dove la danza funebre si dilata in un ritmo quasi elegiaco e il suo protagonista Jeffrey, un Chow Yun-Fat mai stato così splendido, assume i connotati romantici del killer che si prende cura della donna a cui ha tolto la vista, in un vano e dolente anelito di espiazione, alla vicenda dell’antico legame di sangue spezzato si sovrappone quella di un’amicizia impossibile tra il gangster fuggiasco e il poliziotto che gli dà la caccia e che, contro ogni regola, si ritroverà a portare a termine la sua disperata vendetta. Da una vaga ammirazione tra avversari su fronti diversi, i due si ritrovano complici contro un comune nemico, un Dumbo e Topolino così denominatisi per gioco, il cui legame si fa saldo nell’amicizia tragica e condannata dei perdenti. Dumbo e Mickey Mouse (così nell’edizione europea, Numb Nuts e Butterhead in quella americana, o ancora Runt e Shrimpead nella nuova traduzione più fedele all’originale, in cui il poliziotto è detto Ah-b ovvero “fratellino” e il killer Xiatou, dove Jeffrey riprende il nome di Ah-Jong) diventano il modello di quell’ “amicizia tra nemici” ripresa poi da altri grandi di Hong Kong quali Johnnie To, per un Cinema che continua a fare dei temi della vendetta, del tradimento e della complicità virile i suoi cardini e dove ai nuovi samurai traditi dai loro capi non resta che il volontario sacrificio in un bagno di sangue vendicatore. “Il mondo cambia troppo rapidamente... forse siamo troppo nostalgici - si dicono questi eroi al crepuscolo – La nostalgia è la nostra grazia salvatrice”.