Moderni Vampiri, i Principi del Crepuscolo

06/07/2010

“Se sia giusto ucciderlo o meno è un problema morale che non tocca la mia sensibilità, signora.”
(Peter Cushing nella parte di Abraham Van Helsing)

Iniziamo subito precisando un punto di vitale importanza: vampiri e licantropi esistono davvero, e non lo si dice in questa sede per assumere infantili pose dark. Ray Bradbury ci spiega esattamente il significato di questa affermazione con parole semplicissime. In un racconto della sua memorabile raccolta “Paese d’ottobre”, il maestro dell’horror crepuscolare regala una perla di saggezza ad un suo protagonista, il quale dice: “Credo che esistano i vampiri, ma non sono come pensiamo. E’ gente diversa. E’ gente che, ad un certo punto, decide di essere così.” Perfetto, lapidario, immediato. E, nel romanzo “Il popolo dell’autunno”, un predicatore afferma: “Ci sono persone per le quali è sempre novembre, per le quali non giunge mai la luce salvifica del Redentore. (…) Ecco il popolo dell’autunno. Guardatevi da loro.” Non è azzardato credere nei vampiri perché, ad occhi attenti, è palese come essi circolino fra noi, indisturbati, e a volte siano nostri amici, altre volte siamo noi. Non esiste qualcuno che ci chieda di entrare in casa per sedurci e poi privarci del sangue, non esiste un demone che ci attiri in remoti angoli urbani per donarci i suoi poteri, ma esistono individui più abili di altri a manipolare il pensiero collettivo, e questo si chiama vampirismo psichico, ed è l’ applicazione alla realtà dello charme di cui si farà cenno nella scheda. Noi abbiamo l’ancestrale paura che qualcuno condizioni la nostra mente, modellandola, rendendola dipendente dal suo pensiero, ed è una paura fondata, perché ovunque, ed in qualunque tempo, è sempre andata a finire così. Anche chi si professa libero pensatore, in realtà, aderisce all’idea di quelli che inventarono il pensiero libero, che ha schemi e valori ben precisi, e si conclude che ogni essere umano ha bisogno di un “vampiro” per pensare, di un capo, qualsiasi, altrimenti vivremmo nel caos. E, in misura ridotta, il cosiddetto leader naturale di una compagnia è un piccolo e poco potente vampiro psichico che funge da modello comportamentale per gli altri. Se passiamo al discorso del sangue allora entriamo nell’allegoria e nella leggenda, una leggenda che affonda le proprie origini davvero all’alba dei tempi. E non è forse perché l’uomo da sempre li riconosce, intendiamo i licantropi e i vampiri, che da sempre ha paura di loro? Dissertabile considerazione ma abbandoniamola, le nostre convinzioni sulla reale esistenza dei mutaforma e dei revenanti le abbiamo già espresse. La cultura, in ogni caso, attinse come sempre dalla paura, la elaborò e le diede forma letteraria. Gli uomini un po’ diversi dagli altri, un po’ al di sopra degli altri, ammirati e temuti, divennero materia di metafora, li si mostrificò, ci si convinse che era giusto odiarli per una forma di pura invidia, ed ecco la leggenda: lupi a due gambe che simboleggiano l’eterna tentazione di una libertà senza freni e sanguisughe parassitarie che assumono connotati antropomorfi come forma romanzata di potere.
Non esiste alcun film di qualità, riguardo i vampiri, che non sia stato influenzato dal “Dracula” di Bram Stoker, ripreso nel mirabile e visionario lavoro di Francis Ford Coppola con Anthony Hopkins, Wynona Rider, Keanu Reeves e Gary Oldman. Tutte le pellicole della leggendaria casa di produzione Hammer, con gli immortali Christopher Lee e Peter Cushing (piccola curiosità: in tutti i film nei quali i due grandi attori si sono incontrati, anche senza che riguardassero i vampiri, Cushing ha sempre ucciso Lee. Cosa c’entra? Nulla, a meno che non si voglia aprire una rubrica tipo: “La rivincita dei Nerd”), ma anche quelle indimenticabili di Herzog e Murnau, si rifanno a ciò che Stoker costruì attorno alla figura del vampiro, la quale venne letteralmente stravolta e associata ad un tanto grande quanto feroce condottiero che, dalla Valacchia, sotto la protezione dell’ Ungheria e dello Stato Pontificio, attorno alla metà del seicento respinse i Turchi Ottomani prima che la loro invasione dell’occidente diventasse inarginabile. Il principe Vlad Tepes, appartenente all’ordine sacro dei Dragoni, detto l’ Impalatore perché, come i Turchi, usava impalare su alte picche i prigionieri di guerra, fu una delle figure più sanguinarie della storia. Nato in una regione dei Carpazi non più grande della Lombardia, fatto prigioniero dal nemico, secondo alcuni sottoposto a violenze sessuali e poi scelleratamente rilasciato dal sultano Murrad IV, divenne una leggenda tanto utile quanto scomoda all’indomani della ritirata turca, quando egli assunse il pieno controllo della Valacchia e impose un regime tirannico. Un contingente dello Stato Vaticano, l’esercito Ungherese e la casata valacca rivale dei Danesti lo deposero, lo inseguirono per mesi senza mai riuscire a prenderlo, aiutato com’era dagli abitanti dei villaggi che lo veneravano quale una semi-divinità e ferravano al contrario i suoi cavalli, così da confondere gli alleati, infine lo fecero cadere in un’imboscata, lo squartarono e gli diedero fuoco sul posto, giudicato senza processo un eretico, un nemico della Chiesa e addirittura un demone. Invero, Vlad il Drago era effettivamente un mostro, che applicava la tortura come metodo di governo, che inchiodava i crani dei messaggeri al pavimento (mentre essi erano ancora vivi, è ovvio), che faceva scorticare pubblicamente donne e uomini appartenenti all’odiata casta di Danei, il secondo nobile più potente di quella terra rigogliosa e remota. Non è certo se abbia compiuto o meno atti di cannibalismo e di necrofilia, ma, quand’anche fosse, ci permetteremmo di non stupirci. Alla sua violenta morte, salì sul trono non un Daneste, ma un altro Draculeste, ovvero il fratello timido di Vlad, Radu detto il bello, e se consideriamo il soprannome tanto più mieloso di quello del suo predecessore, ci è agile capire perché tutti, Danesti, Ungheresi ed emissari del Vaticano non ebbero niente da obiettare circa la nomina. Che un pazzo irlandese abbia trasformato colui che respinse l’incommensurabile esercito ottomano in una figura romantica e tenebrosa tanto ci piace quanto poco ci importa, in questa sede. Vlad fu uno dei molti strumenti della storia che non avrebbe meritato alcuna attenzione, dato che il suo unico talento, benché utile ad uno scopo, fu quello di essere una belva feroce eccitata dalla violenza più estrema, che non a caso applicò anche cessata la minaccia dall’ est. Il film di Coppola è un omaggio a Stoker, non al vampiro. Paradossalmente, la vera natura dei vampiri originari è stata destinata alle produzioni minori. Vampires di Carpenter, per dirne uno su migliaia, con James Woods, è l’esempio di pellicola fedele al mito, ma la qualità del film è tanto scarsa da renderlo quasi fastidioso. Torna Sheryl Lee dopo Twin Peaks, ma, anche in questo caso, la sua recitazione non oltrepassa quella che Lynch le chiese dopo averla avvolta in un telo di cellophan. E pensare che non toccò agli inglesi il compito di dar giustizia letteraria ai revenanti, soprattutto non toccò a Lord Byron. Uno dei primi scritti che “urbanizzò” l’ematofago venne vergato da un medico italiano che per Byron nutriva ben più di una semplice ammirazione: Polidori, il quale, nella celebre notte in cui nacque Frankenstein, diede vita al suo “Il Vampiro”, attribuito subito a Byron e considerato il suo miglior lavoro. A denti aguzzi, è proprio il caso di dirlo, l’ardimentoso poeta dovette suo malgrado ammettere la reale paternità dell’opera, e il suo medico e assistente fu tra i primi a dar consistenza al vampiro moderno. E’ un peccato ed è anche un po’ vergognoso che Polidori non venga citato fra le glorie italiane della letteratura, lui che superò in tempistica persino i britannici, gotici per natura, ma che l’Italia veda solo una categoria di talenti per ogni espressione artistica, sempre che li veda, è una triste verità, e conferma come la nostra penisola capisca davvero pochissimo di cultura dark/fantasy e, talvolta, neppure la voglia capire, nonostante il numero cospicuo di autoproclamatisi esperti del settore. E’ un vero peccato, inoltre, che il cinema stesso non abbia mai dato particolare rilievo alla forma più sottile di vampirismo, quello psichico di cui si parlava in precedenza, e che trova in Sheridan Le Fanue uno dei suoi più significativi rappresentanti. Autore di un eccellente romanzo breve: “Carmilla”, si distinse per sottigliezza di narrazione e per la complessità del personaggio, invero alquanto drammatico e costretto a rivivere con anagrammi del nome originario: Millarca, Mircalla. Una piccola invenzione, quest’ultima, più un giochetto sillabico che altro, ma in una trama crepuscolare e tenebrosa di grande impatto. Vampiro solo in parte psichico, ma con grande valore iniziatico, come fu in qualche modo Carmilla, è la ragazzina di “Lasciami entrare”, il recente capolavoro di Tomas Alfredson, tratto dall’omonimo romanzo di John Ajvide Lindqvist. Si ammetta, tuttavia, che il vampirismo psichico avrebbe poche possibilità di espressione nella cultura visiva, e che meglio si adatti alle pagine. Ultimamente, però, con l’arrivo di un vero e proprio esercito di scrittrici e scrittori, capitanati dalla già classica Anne Rice, il mito ha perso definitivamente i contatti con le proprie radici. Dandy estetizzanti di fine ottocento, tossici metallari e ninfomani, ormai è impossibile riconoscere nei vampiri di “Twilight” o di “Intervista col vampiro” qualcosa che abbia attinenza con la cultura antica, e il parassita per eccellenza rischia la saturazione dell’immagine, poiché l’amore che alcuni sostengono sappia provare è eterno, ma quello del pubblico, invece, dura assai poco.

Classe: Revenante

Stato sociale:
Qualunque, ma preferibilmente nobile o di classe altolocata

Longevità: teoricamente eterno, se non ucciso

Punti di forza: Charme: è un abile manipolatore mentale e la sua innata sensualità richiama facili vittime, spesso consenzienti. Forza muscolare notevole, mimesi con l’ambiente urbano totale, intelligenza superiore. La completa mancanza di coscienza e moralità lo portano ad essere pericolosamente spregiudicato. Estrema rapidità nei movimenti, estrema adattabilità al cambiamento delle epoche, immortale, suggestiva capacità di simulare sentimenti e affetti per attrarre le proprie vittime, e infatti raramente ricorre alla violenza brutale.

Punti deboli: Sensibilità alla luce del sole, vulnerabile alle armi da punta in legno di frassino, spesso ostile con gli altri vampiri, estremamente perseguitato: si dice che Van Helsing fosse solo uno della leggendaria enclave di cacciatori di vampiri che tramanda le proprie tecniche di combattimento contro i revenanti di generazione in generazione. Talvolta, la sua natura vampirica entra in conflitto con la precedente umana, ha esigenza di stasi durante le ore diurne in luoghi bui, elevata dipendenza dal sangue: come i pipistrelli delle Pampas Tropicali, se resta anche per un breve periodo senza sangue muore. I vampiri sono sadici, amano divertirsi con le proprie vittime, il che li porta spesso a cadere nei tranelli architettati dai cacciatori di vampiri, i quali, meglio di chiunque altro, conoscono i vizi perversi di questi parassiti.

Cose non vere sul loro conto: non è vero che possono spostarsi anche alla luce del sole, non è vero che sono in grado trasformarsi in nebbia, in topo, lupo o pipistrello, non è vero che indietreggiano davanti ai simboli sacri, non è vero che i loro canini sono più sviluppati di quelli umani, non è vero che hanno influenza sugli elementi o su alcuni animali, è una credenza popolare che l’aglio li respinga, non è vero che provano dolore spirituale e che possono addirittura innamorarsi degli umani, non è vero che possono spostarsi a rapidità inverosimile (veloci come predatori, non come la luce. Questa credenza è un retaggio delle antiche leggende greco-romane sulle lamie e le empuse, le quali, creature semi-corporee, possono considerarsi più spettrali mangiatrici di carcasse che vampiri), non è vero che sfidano la legge di gravità, non è vero che devono riposarsi nella propria terra natale. Basta il morso, non è vero che, al fine di rendere vampiro un uomo, quest’ultimo debba bere il sangue del suo predatore: si tratta di una versione teologizzata e blasfema del Rito della Comunione. Le suddette sono invenzioni di Bram Stoker, non attinenti alle leggende originarie. Non è vero che necessitano di un invito per entrare nelle case delle loro future vittime, non è vero che quella del lupo mannaro è una forma di transizione che assumono in determinati casi, non è vero che possono provare affetto per i propri simili: per quanto attraenti, sono mostri, punto e basta, e vanno eliminati con assoluta determinazione.

Cose vere sul loro conto:
E’ vero che sono creature unicamente malvagie e senza scrupoli, che spesso attaccano i bambini e i più indifesi, che il loro erotismo è quasi un effetto magico dal quale in pochissimi riescono a sottrarsi, è vero che sono cadaveri, il che li porta ad essere classificati nella stessa categoria degli zombi, è vero che possono riunirsi sotto un vampiro antichissimo detto Maestro della Notte, anche se accade di rado. E’ vero che, durante la stasi diurna, restano attivi solo i loro poteri mentali, ma in misura ridotta. Se scoperti mentre dormono, la loro vulnerabilità è quasi assoluta. E’ vera la loro bisessualità, anche se così impropriamente chiamata: avendo solo l’aspetto e non l’essenza di donne o uomini, non fa molta differenza attaccare prede che sembrino dello stesso sesso o di quello opposto. E’ vero che, per ucciderli definitivamente, bisogna trapassargli il cuore e mozzargli la testa, ovvero procurargli la fine che meritano. E’ vero che non possono riprodursi fra loro né con gli umani, è vero che fanno parte di una razza antropomorfa da sempre a contatto con la civiltà degli uomini, fonte di nuovi vampiri, ed in questo sono esattamente come i virus, o una versione dannosa della flora batterica intestinale. E’ vero che non hanno alcuna attinenza con qualunque religione.

Carlo Baroni