Di Muhammad Alì è stato detto tutto. Del più grande pugile di tutti i tempi – 61 incontri ufficiali e 56 vittorie; giganti come Frazier e Foreman al tappeto; lo storico incontro di Kinshasa, 7 round alle corde e l'improvvisa mossa vincente; l'agilità da ballerino e quella grazia e velocità mirabilmente associate alla potenza (“ vola come una farfalla, punge come un'ape”)- e del più straordinario uomo di spettacolo, del personaggio provocatorio (“nessuno può colpirmi perché sono bellissimo”) e dell'uomo grande così – la conversione all'Islam pacifico e la lotta per i diritti dei neri; il rifiuto di andare in Vietnam che gli costò la galera, il ritiro del titolo mondiale e tre anni e mezzo di inattività quando era al culmine della carriera; la forza con cui ha affrontato il morbo di Parkinson. Su di lui sono state scritte canzoni, girati film, realizzati decine di libri e documentari. Cos'altro possiamo aggiungere? Solo dei piccoli grandi ricordi personali...
Ero piccolissima quando Cassius Clay tornava sul ring. Era già una leggenda, per come boxava e perché a 25 anni aveva rischiato di buttare via la carriera per una questione di principio: perché andare a combattere contro i Vietcong, che non gli avevano fatto nulla di male, a favore degli Stati Uniti che trattavano lui e i fratelli neri come pezze da piedi? Ma all'inizio degli anni '70 eccolo tornare di nuovo sul ring, più forte, agile, bello e provocatorio che mai. Un capricorno come me, e i capricorni sono testardi. Dal televisore in bianco e nero giungevano le immagini sgranate dei suoi combattimenti, quando i titoli mondiali erano veri titoli mondiali, e restavo incantata davanti alla sua grazia da ballerino: non si capiva se a tirare scemo l'avversario erano i suoi pugni o i suoi saltelli. Divenne il mio primo idolo sportivo.
Col passare del decennio cominciai a concepire un piano diabolico: se fossi diventata giornalista avrei potuto incontrare i personaggi dei miei sogni (che per lo più erano attori e registi). E così cominciai a scrivere sui giornali locali e a darmi da fare. All'inizio degli anni '80 conobbi Gianni Minà, gentile, disponibile, che mi ha insegnato il mestiere, e che col suo fare bonario era diventato amico di uomini che han fatto la storia. Tra questi lui, Muhammad Alì.
Il 30 maggio 1982 a Blitz, il suo programma della domenica pomeriggio su Rai 2, Minà ospitò la leggenda vivente. E io ero lì. Io c'ero. Io ho incontrato il grandissimo, ho preso il suo autografo, gli ho rivolto la parola, gli ho stretto la mano e gli ho accarezzato un braccio.
Faccio ridere? Ho l'aria della miracolata? È vero, a ben pensarci è veramente stupido cambiare la propria esistenza scegliendo una strada (il giornalismo) piuttosto che un'altra (un altro lavoro qualsivoglia) solo per poter dire d'aver stretto la mano a un pugile; eppure se devo raccontare la mia vita attraverso una serie d'immagini-ricordo che ne illustrino i momenti più belli ed emozionanti, quel momento è lì. Alì, Senna, Paul McCartney...magic moments.
Anche momenti che il ricordo rende in qualche modo “teneri”. Perché l'Alì che toccavo con mano non era il coriaceo combattente, lo sbruffone. Era un uomo gentile, quasi delicato. Il ricordo più vivo che ho di lui è la pelle morbidissima, lo sguardo dolce e i movimenti leggermente rallentati: una tristezza, col senno di poi, perché preludevano al malanno che stava già covando. Sullo schermo scorrevano le immagini in bianco e nero dei suoi incontri e il mio sguardo si posava su di lui, e la sua espressione era quella di chi guardava una leggenda scomparsa.
Ma una leggenda non può scomparire.
Buon compleanno, Alì.