Vacanze d'infanzia, anni '60

21/07/2010

Luglio in montagna e agosto al mare. Una consuetudine talmente ancorata al costume italiano da apparire in tutti i “libri di lettura” (oggetto che sta sfumando anche lui tra i ricordi in bianco e nero).
Le prime vacanze con la mamma e, magari, i nonni (possibilmente materni). Ad agosto il papà veniva a raggiungere la famiglia ad Alassio o Jesolo o Milano Marittima o ovunque fosse la destinazione marinara.
In alternativa  a questo modo di consumare le vacanze, c'era la partenza di gruppo, che era un'impresa titanica. Intanto, perché si partiva in 6 su una macchinetta (una “giardinetta”...),  e poi perché ci si imbarcava per vacanze di uno, due, tre mesi, e si caricava di tutto, dalla cucina da campo al materassino gonfiabile, sul mitico “portapacchi”. Si partiva di notte, per evitare il caldo, “e le code” (il caldo lo si evitava, le code ovviamente no). I bambini venivano svegliati, e nell'atmosfera magica della città deserta, ci si stringeva sul divano posteriore (allora non esistevano cinture e seggiolini, e i bimbi più piccoli si accomodavano davanti, in braccio alla mamma, con un sonno molto più dolce dei loro fratelli), sulle ginocchia un plaid, e si partiva per la grande avventura.
E poi c'erano le vacanze dai nonni. In realtà ancor più diffusi dei modelli precedenti, e vissute anche dalla sottoscritta. Ancora oggi, a giugno o luglio, capita di vedere dei nonni in montagna coi nipotini: ma le vacanze “dai” nonni, e non semplicemente “coi” nonni erano qualcosa di speciale. In campagna, in un paese di provincia più piccolo e meno afoso della metropoli dove si abita, o addirittura soltanto in una casa al di là della piazza, andare ad alloggiare dai nonni era una festa. Che magari dopo pochi giorni si trasformava in un peso reciproco, e gli unici a respirare veramente erano papà e mamma: ma quando si affacciava la prospettiva “finita la scuola vai un po' in vacanza dai nonni” si pregustavano quei giorni come una terra promessa.
Stranamente, si trattava quasi sempre degli stessi nonni: l'altra coppia non ospitava, caso mai seguiva nelle vacanze d'agosto, mentre ce n'era sempre una, più campagnola, che aveva una stanzetta tutta per te da offrirti (spesso era la stanza occupata da tuo padre quand'era piccolo, e che bello trovare in fondo a un armadio i suoi giocattoli!). Se avevi dei fratelli o sorelle, venivano ospitati da amici, o andavano in colonia, o restavano a casa coi genitori o erano ormai abbastanza grandi per andare in viaggio per conto proprio: la vacanza dai nonni era una vacanza tutta per te.
E c'erano i treni. Oggi, questi oggetti si dividono in due categorie: le porcilaie ambulanti (lenti, lerci, sovraffollati, surriscaldati, spesso in ritardo) o le “frecce” - comode, moderne, costose e talvolta persino pulite, sono tanto funzionali quanto anonime. Addio vecchi scompartimenti, dove potevi guardare che faccia aveva il coabitante prima di deciderti se sederti lì (o che potevi occupare per intero con la tua famiglia o compagnia), dove non eri costretto a sentire i fatti suoi, schiamazzati in un telefono, sovrapposti ai fatti di venti altre persone. Addio fermate periferiche, panini e bibite tirati fuori con l'aria di fare un picnic, “da fastidio se fumo?” e “posso aprire il finestrino?”; e i parenti che ti accompagnavano al treno e poi restavan lì a salutarti fino alla partenza, come se dovessi partire per la guerra. Qualche volta, per esempio se prendi il treno notturno per Lecce, può ancora capitare di vedere intere famiglie che prendono d'assalto i posti sul treno come invadessero un villaggio, e si apprestano ansiosamente a partire, carichi di cibi e bagagli, sistemando sotto il sedile la gabbietta col gatto sconvolto e allungando il bimbo più piccolo su due sedili: e ti viene da pensare che forse sono gli ultimi dei mohicani.
Infine, c'erano i giochi delle vacanze. In collina o al lago, erano tutti di movimento: strega comanda colore, nascondino, toppola, angelo bell'angelo, bandiera.... Al mare, invece, regnavano i giocattoli: palla, paletta-secchiello-formine (c'è qualcuno al mondo che non abbia mai costruito un castello di sabbia?), i salvagente a forma d'animale (i piccolini riuscivano a trasformarli in giocattoli...) e, soprattutto, le biglie. Colorate di vetro o di plastica con dentro l'immagine di calciatori o ciclisti, scambiabili e collezionabili come fossero figurine: c'è chi da una vita tifa per una squadra di calcio perché gli è toccato in sorte di giocare con le biglie raffiguranti Corso-Mazzola-Suarez. E i giochi stagionali, legati a un determinato anno e poi scomparsi: vi ricordate, per esempio, il “canguro”o“pong pong” , quel pallone su cui ci si sedeva e si faceva saltare?. Aquiloni,  cerchi e volani uscivano dalle nebbie del passato e tornavano di moda per un anno per poi scomparire di nuovo, come oggigiorno succede al frisbee, che ogni tanto fa capolino sulle spiagge nonostante i divieti sempre più diffusi a giocare, suonare, disturbare. Suonare! Nessuno si sarebbe mai sognato di ascoltare musica con delle cuffiette nelle orecchie, tutti soli: la musica andava condivisa: con la chitarra, preferibilmente attorno a un falò, o con un “mangiadischi” (un lustro dopo evoluto in “mangianastri”), o al jukebox. Perché la musica era come i giochi e i bagni e le corse sui prati e il viaggio in treno: era il segno che era estate, che si era in vacanza.

Elena Aguzzi