Con "Persona" lo sperimentalismo di Bergman diventa estremo

22/12/2008

Uscito nel 1966 con protagoniste due delle attrici più affezionate a Bergman, Bibi Andersson e Liv Ullmann, "Persona" può essere considerato come il film nel quale lo speriemntalismo del regista svedese si spinge ai massimi estremi.
Protagonista assoluta della pellicola è la follia, impersonificata da due donne; un'infermiera che assiste in una splendida casa in riva al mare un'attrice che, improvvisamente, si è chiusa in un inspiegabile quanto inquietante, silenzio.
Qui tra le due donne comincia ad instaurarsi un rapporto piuttosto ambiguo. Elisabeth, l'attrice, continua a restare rinchiusa nel suo silenzio, mentre Alma, l'infermiera, si apre completamente a lei, considerandola un'interlocutrice perfetta.
Con il tempo il legame tra Alma e Elisabeth diventa sempre più simbiotico, sino a spingere Alma, in un insensato gioco di identificazione, a rinunciare essa stessa alla parola.
In quel luogo appartato, Alma confessa tutti i suoi segreti, tra i quali l'esperienza di un rapporto sessuale di gruppo, ma quando scopre che Elisabeth ha raccontato in una lettera tutto ciò che le ha confessato la aggredisce violentemente, poi se ne pente e trova alla fine la forza di riconquistare il suo ruolo.
Alla fine le due donne abbandonano la casa l'una indipendentemente dall'altra, nel segno di un insanabile distacco.
Sebbene il film sia carico della consueta inquietudine, a contraddistinguerlo rispetto alle altre pellicole è il radicalismo che ben si adatta al tema centrale della narrazione, quello della pazzia.
Tutta la narrazione procede per strappi, per frenate brusche e improvvise accelerazioni, rese in maniera straordinaria dallo splendido duetto tra le due protagoniste. Su questo duetto, Bergman posa il suo sguardo clinico che riesce però a mantenere sempre un certo distacco, probabilmente per evidenziare l'impossibilità oggettiva di scavare a fondo in una storia fatta di ricordi, di confessioni, di segreti e incubi.
Il distacco avvertito dal regista è vissuto anche dallo spettatore che, dinnanzi ad un rapporto così privato ed autodistruttivo, si sente impotente, incapace di coglierne le dinamiche profonde e di bloccarne l'avanzata.
Importante, oltre allo sperimetalismo e all'essenzialità, resi in maniera sublime dall'ottimo bianco e nero di Sven Nykvist, fu anche il coraggio che Bergamn dimostrò presentando una pellicola che sfidava la censura, mettendo nella sequenza iniziale un pene in erezione e arricchendo la confessione di Alma, in merito all'esperienza sessuale di gruppo, con un dialogo alquanto esplicito. 
Fu quindi quasi scontato che, alla sua uscita, il film fu percepito come altamente sperimentale, sia per la particolarità con la quale si era costruita la trama, sia per le tecniche cinematografiche che Bergman utilizzò per trasmettere il senso di incomunicabilità tipico della sua poetica.
Insomma un ennesimo capolavoro che, ad anni di distanza, non manca ancora di emozionare e di stupire.

Lucia Cocozza