Un Amleto di pił

24/11/2009

Se Kenneth Branagh aveva già osato sfidare il genio di Laurence Olivier con l' "Enrico V", scegliendo però una via interpretativa estremamente diversa (un film d'azione contro un'edizione storica, con tanto d'attori travestiti sul palco per ricreare il contesto elisabettiano), nel '97 ci riprova con la Grande Ossessione di ogni attore, di ogni regista e di ogni inglese: l'"Amleto". Dando subito a Cesare quel che è di Cesare, non si può non riconoscere che il film di Branagh è in assoluto il più completo (non è stata tolta una sola battuta dal testo shakespeariano! - ovviamente nell'edizione integrale di 4 ore, non in quella tagliata per la tv), e ciò consente d'apprezzare pienamente il capolavoro del bardo e di comprenderne anche gli aspetti "politici" (alzi la mano chi l'aveva mai letto in questa chiave: il principe Amleto è furioso con lo zio che gli ha usurpato il trono, ma non osa - nonostante l'appoggio popolare - attuare un colpo di Stato poiché l'esercito del principe di Norvegia, Fortebraccio, sta muovendo contro la Danimarca. Di questa situazione tenta d'approfittare il mancato cognato Laerte, figlio del ciambellano Polonio, dapprima con un'azione militare, poi organizzando un attentato in combutta col re); tuttavia le nostre simpatie sono ancora per il cupo e potente bianconero di Olivier più che per il rutilante spettacolo hollywoodiano messo in scena dal megalomane Branagh.

Eppure c'è almeno un punto di contatto tra l'Amleto in calzamaglia del primo e quello in divisa ottocentesca del secondo (a parte il fatto che entrambi gli interpreti sono un po' vecchiotti per il ruolo): il principe danese non è il solito tremebondo e pallido finocchio tramandatoci dalla tradizione, ma un giovanotto atletico e deciso. Sono le conclusioni tratte da ciò a divergere completamente. Laurence Olivier deve spiegare perché un tizio così in gamba stia tanto a tormentarsi e, leggendo tra le righe, "scopre" che soffre di un portentoso complesso edipico che ne fiacca la volontà finale e lo rende incline alla malinconia (e l'interpretazione è così convincente che da allora in poi in tutte le versioni di "Amleto" la scena clou del dramma è quella nella camera da letto della madre); Branagh fa prima: non se lo domanda nemmeno. Amleto è un uomo d'azione, non ha alcun disturbo psichico o mentale, va a letto con Ofelia, e se schiamazza tanto anziché spedire subito lo zio al creatore è solo per le succitate ragioni di Stato che lo invitano alla prudenza. E il film è diretto coerentemente con questa scelta: rapidi movimenti di macchina (favoriti quelli circolari e le zoomate), messinscena potente, recitazione ad alto volume, musica trionfale, cast ad alto effetto ( e ad alto spreco: cosa ci fa Depardieu a fare solo "sì sì" con la testa o Jack Lemmon a dire "mio signore ho avvistato uno spettro"?). Conclusione: sarà l'"Amleto" più completo, ma anche il più superficiale. Il suo merito, più che estetico è di tipo divulgativo: riesce ad avvicinare un vasto pubblico a qualcosa considerata d'elite (leggi: di far digerire l'inglese di Shakespeare anche agli americani) e, per di più, di farlo in maniera divertente e con un indiscusso senso dello spettacolo.
Che poi l'arte sia un'altra cosa....

Elena Aguzzi