
Con quella faccia un po’ così, l’aria indolente e
menefreghista, lo sguardo sbieco e assonnato, è stata la prima star a portare
sullo schermo l’odore del sesso.
Nato a Bridgeport il 6 agosto 1917, Robert Charles
Durman Mitchum ha fatto di tutto prima di diventare attore: giornalista, autore
di racconti per bambini, speaker radiofonico, compositore, pittore
d’aereoplani, oltre che la classica trafila americana di lavori manuali. È
stato in galera per vagabondaggio, a 16
anni, ed evase, e quindici anni dopo, nel bel mezzo della carriera, per
possesso di marijuana, e scontò il suo periodo con impagabile ironia (“Era come stare a Hollywood, ma con meno
gentaglia”). Divenne il simbolo, assieme al petto di Jane Russell, della
RKO e interpretò un centinaio di film: alla fine ne salvava sì e no un paio –
un giudizio ingiusto, perché la sua carriera vanta titoli di tutto rispetto.
Apparve spesso in pellicole di guerra o western, ma il massimo lo diede nei
noir. Non vinse mai Oscar, e fu candidato una sola volta: non si presentò
perché non voleva noleggiare lo smoking. Mitiche, quanto le sue
interpretazioni, le sue rispostacce e le sue battute. Un matrimonio (dal 1940
alla morte), con Dorothy Spence, e tre figli (due dei quali, Christopher e
James, tentarono di seguire le orme paterne). Ci ha lasciati il 2 luglio del
1997: quello stesso giorno scomparve anche un altro grande, James Stewart.
Quello che rende inimitabile
Mitch è l’aria letargica e distaccata, dura ed ironica, che ha contraddistinto
tutte le sue apparizioni sullo schermo, come quelle “dal vivo”. Talento
naturale per la commedia, si è però fatto notare, grazie al fisico muscoloso,
il volto brutto e attraente, la voce baritonale e la recitazione casuale,
sottotono, al contempo torrida e implacabilmente fredda, in ruoli dannati: lo
ricordiamo in “Notte senza fine”, “Le catene della colpa”, “L’avventuriero di
Macao”, “La magnifica preda”, “La morte corre sul fiume”, “L’anima e la carne”,
“Il promontorio della paura”, “El Dorado”, “Gli amici di Eddie Coyle”,
“Yakuza”, “Marlowe il poliziotto privato”. L’ultima sua apparizione di culto è
in “Dead Man” di Jarmush, nell’indimenticabile ruolo cameo dell’uomo che ordina
di dar la caccia a Johnny Depp. Eppure egli si mostrava assai critico nei
confronti del cinema (“Perché devo
interpretare il ruolo di un professore irlandese? chiamino un professore
irlandese, che così risparmiano”), non si riconosceva alcun particolare
talento e si divertiva a spiazzare i giornalisti con risposte al vetriolo (per
esempio, a una domanda un po’ cervellotica: “Chi
cazzo credi di essere, Sigmund Freud?”). Abbiamo il sospetto che non fosse
una posa, e che il suo antidivismo non fosse il frutto di uno spirito ribelle
alla Brando o alla Sean Penn, ma che
ritenesse davvero la sua professione un modo come un altro per sbarcare il
lunario.
Un celebre aneddoto racconta
tutto l’individuo, con il suo sarcastico e pacifico spirito di rivolta.
Invitato a un party in maschera si presentò nudo, con solo un po’ di senape sulle
parti intime. Allo sguardo esterefatto della padrona di casa, esclamò “Non mi dica che c’è già un altro travestito
da hot dog!”
Grande Bob! Ci manchi