Una pallottola per Bogey

16/05/2008
“Sì ,tesoro, ti faccio andare in vacanza. Avrai qualche speranza di salvare la vita: il che vuol dire che se farai la brava ci rivedremo più o meno fra una ventina d’anni.   Se invece ti impiccano, ti ricorderò per sempre”- A 50 anni dalla scomparsa ricordiamo Humphrey Bogart e il suo mito inossidabile.

Humphrey De Forest Bogart nasce a New York il 22 gennaio 1899. Infanzia tranquilla, ma scarso successo a scuola. Durante la Grande Guerra si arruola in marina. Al ritorno, comincia a lavorare per il teatro e, successivamente, al cinema. Gli esordi non sono un granché, ma da “La foresta pietrificata” del ’34 in poi sarà una continua escalation. Vita non agitata, la sua, anche se turbolenta dal punto di vista sentimentale. Quattro mogli, tutte, più o meno, attrici: Helen Menken, nel ’26 (rapporto da dimenticare), Mary Philips, nel ’28, Mayo Methot, nel ’38 (gelosa al punto da accoltellarlo!) e infine, nel ’45, con la giovanissima e bellissima Lauren Bacall, con la quale ottiene la serenità e due figli, Stephen e Leslie. Muore di cancro alla gola il 14 gennaio 1957, cinquanta anni9 fa giusti giusti. Oltre alla Bacall, due grandi amori, lo yacht Santana e il cinema, per il quale interpreta 75 film – oltre a una serie di particine non accreditate – dal dimenticabile “Il ballo della Checca” (A devil with women), del ’30, al gran ruggito finale de “Il colosso d’argilla” (The harder they fall) del ’56, ispirato alla vita di un altro “uomo vero”, Primo Carnera.

Nell’immaginario collettivo è il romantico Rick di “Casablanca”, e ha sempre una sigaretta in mano: Bogart è forse il maggior responsabile del vizio del fumo tra i giovani maschi cinefili. Il suo volto, cinematograficamente, è legato al noir, vuoi nei panni dell’investigatore (è stato sia Marlowe che Spade, i duri tra i duri) che in quelli, il più delle volte, del gangster. Una curiosità: il suo sorriso sardonico è dovuto a un pugno ricevuto durante il servizio militare, almeno così narra la leggenda.

Attore misurato e distaccato, riesce altrettanto bene nelle pellicole d’azione che in quelle più leggere e sentimentali, come “Sabrina”. È uno “sparring partner” perfetto sia per gli uomini (George Raft, James Cagney, Sidney Greenstreet, Claude Rains, Edward G. Robinson, Walter Huston,, Fredric March) che per le donne (Bette Davis, Mary Astor, Ida Lupino, Ingrid Bergman, Katharine Hepburn, Ava Gardner e , soprattutto, Lauren Bacall, con la quale appare in 4 film in tre anni ). Gli basta un tic (la smorfia col labbro superiore, il tirarsi il lobo dell’orecchio, lo scoprire le gengive dopo un sorso di wisky) per caratterizzare un intero ruolo: il resto è tutto arte di levare e accennare. Come ebbe a dire Chandler, “l’unica cosa che deve fare per dominare la scena è entrarvi”.

Duro dal cuore tenero, perdente che non perde, cattivo moralmente integro, cafone di inarrivabile eleganza, eroico anti eroe, bruto e sentimentale, bassetto e bruttino di fascino irresistibile e grande virilità, Bogey è l’idolo dei sempliciotti e degli intellettuali, dei romantici e dei cinici, degli uomini che sognano d’essere come lui e delle donne che sognano d’avere un uomo come lui. Cocciuto e indipendente nella vita come nei film, Bogey è anche il “prototipo” degli attori nevrotici brutti-ma-che-possono-farcela degli anni ’70, alla Dustin Hoffman, alla Robert De Niro o alla Woody Allen che, con “Provaci ancora Sam”, ha contribuito a rinverdire il suo mito.

Elena Aguzzi