
Per parlare di David Lynch e del suo cinema è opportuno specificare che, uno dei registi contemporanei tra i più visionari, è prima di tutto pittore.
Infatti dopo aver studiato per anni la composizione di un’immagine fissa, Lynch si pone il problema di come rappresentare l’irrappresentabile, ossia ciò che sfugge alla fissità del quadro; il passaggio dal quadro al cinema nasce quindi dal desiderio di vedere l’immagine in movimento. L’originalità di Lynch però, la troviamo nel modo in cui il cinema viene rilanciato come strumento per vedere “oltre” e riesce a farlo sperimentando le possibilità della macchina da presa, ma soprattutto le possibilità dello sguardo.
I primi dipinti di Lynch sono scene di strade, alberi, case borghesi. Dopo essersi iscritto nel 1964 alla Boston Museum School i suoi quadri cambiano: inizia infatti a dipingere grandi masse di colori per poi cambiare di nuovo, intorno al 1965, facendo sparire i colori e lavorando sulle variazioni del nero. Figure con sfondi neri o grigi denotano una forte presenza dell’oscurità; il nero esercita una funzione ipnotica provocando nello sguardo un senso di vertigine. In questo senso l’occhio non si limita solo a guardare ma scopre la sua funzione tattile perché vede e tocca. Il nero e l’oscurità saranno elementi presenti anche nel cinema di Lynch, un nero che crea nuove immagini e che spinge lo spettatore ad entrare nel film.
Oltre al nero ciò che caratterizza i quadri di Lynch è la riconfigurazione di figure e corpi, la ricerca di materialità, l’utilizzo di oggetti organici ed inorganici e anche se i suoi quadri divengono quasi sempre più astratti, la figura, per quanto deformata, è riconoscibile.
Possiamo dire che ci sono due grandi temi che emergono dal cinema di Lynch: uno è che il suo cinema nasce proprio dal voler trovare un’altra forma del pittorico, come uno sguardo che deforma il mondo reale. L’altro, che il cinema diventa come una rappresentazione di un mondo frammentato, che mette insieme il meccanico e l’organico annullando le distanze fra i due.
Lo spazio è uno degli elementi fondamentali del cinema di Lynch: paesaggi, strade, città non sono soltanto lo sfondo della narrazione, ma sono parte di una struttura dinamica in rapporto con i personaggi che abitano quegli stessi spazi, dove l’elemento umano e quello naturale sono uniti dallo stesso sguardo. In molti dei suoi film Lynch prende come spazio la stanza, in Eraserhead la stanza di Henry è la matrice di tutte le stanze che fanno parte del cinema di Lynch, in quella stanza infatti il regista ha vissuto durante la lavorazione del film durata per anni e in quella stanza ovviamente si svolgono la maggior parte delle scene.
La stanza è per Lynch un passaggio dal pittorico al cinema, è vicina al quadro per la sua limitatezza delle dimensioni con bordi/pareti a chiudere il quadro/stanza. Ma allo stesso tempo il quadro può essere una finestra e quindi un’apertura verso l’esterno, mentre la stanza è autonoma solo con l’interno; nonostante questo rapporto stanza-quadro, la maggior parte dei dipinti di Lynch rappresentano l’esterno.
Esiste una doppia valenza della stanza che trova la sua massima espressione nella Red Room di Twin Peaks e Fuoco cammina con me ; secondo De Bernardinis infatti la Red Room è il “non luogo” dove ci si trova a contatto con i demoni, con il doppio di ogni personaggio, ma è anche il luogo dove si incontrano angeli (come nel film). E’ quindi un non luogo dove il bene e il male si invertono continuamente. Ogni stanza del cinema di Lynch è uno spazio che condensa il reale, che sia la Red Room, la stanza di Henry in Eraserhead, quella di Merrick in The Elephant man, o la casa di Doroty in Blue Velvet o quella di Fred Madison in Strade perdute.
La stanza allude sempre ad un controcampo che nel cinema lynchiano si riflette nella strada, altro elemento sempre molto presente nei suoi film. La strada però, è un elemento apparente, una figura filmica che non ha nessun nesso con le strade vere e proprie dei road-movie di Hollywood. Il film che più rappresenta questa dinamica è Strade perdute, che inizia con una strada buia illuminata solo dai fari di una macchina che corre veloce con una ripresa in soggettiva, realizzata all’interno della vettura: la strada mostrata in primo piano è però sconosciuta, è una strada illusoria.