127 ore

16/01/2011

di Danny Boyle
con: James Franco, Kate Mara, Amber Tamblyn

Dopo lo straordinario successo del sopravvalutassimo Slumdog Millionaire Danny Boyle torna al cinema con una pellicola che è decisamente più nelle corde della sua poetica filmica.
127 ore ripercorre la storia vera di Aron Ralston, un giovane alpinista che nella primavera del 2003 precipitò in una crepa di un canyon isolato nello Utah, con un braccio incastrato in una roccia. Ralston rimase intrappolato per cinque giorni, provato e fortemente disidratato, lo spirito di sopravvivenza lo portò ad amputarsi un braccio, per ritrovare la libertà. Nei giorni di "prigionia" Ralston ricorda gli amici, la famiglia, gli amori e le due escursioniste incontrate prima dell'incidente.
Danny Boyle ha sempre mostrato un certo interesse nel raccontare l’essere umano posto in situazioni estreme, nel tratteggiare storie di sopravvivenza all’interno di una ambiente ostile e in condizioni disperate (vedi 28 giorni dopo o il sottovalutato e misconosciuto Sunshine), nel mettere in scena vite sconvolte in maniera straordinaria da eventi non sempre preventivabili o gestibili (Trainspotting e, in maniera molto più furba e accomodante, The Millionaire).
Tutto questo si ritrova anche in 127 ore, film che segna un passo molto importante nel percorso d’autore intrapreso dal regista inglese. Si tratta di una pellicola che vive di un gusto estetico molto forte, quasi preponderante rispetto alla narrazione classicamente intesa, ma non per questo fastidiosamente prevaricante.
L’estetica infatti è funzionale al racconto e la scelta di una cifra marcatamente caratterizzata è una consapevole scelta espositiva. L’enorme numero di suggestioni visive, il frenetico accumularsi di stimoli sensoriali e lo schizofrenico alternarsi di diversi elementi estetici di primo acchito incompatibili tra loro sono giustificabili dal tentativo di Boyle di orchestrare una messa in scena della complessità e del frenetico melting pot estetico ed emotivo del nostro tempo.
Le immagini si accumulano nella mente in maniera confusa e disordinata; confusione e disordine che sembrano essere prerogative imprescindibili dell’esistenza nel terzo millennio. Ci investono e ci travolgono, lasciando un senso di vuoto profondo che può essere compensato solo dal ricordo degli affetti e dalle libere divagazioni della mente.
Aron Ralston è l’emblema dell’uomo contemporaneo abbandonato a se stesso, bloccato in una perenne situazione di stallo, impossibilitato a prendere il volo e affrontare la vita con la spensieratezza desiderata e di contro costretto a confrontarsi con limiti e situazioni non sempre comprensibili o accettabili. In questo senso Boyle sembra aver colto la lezione di un maestro come Werner Herzog e rappresenta una natura che è semplice elemento complementare all’esistenza umana e alle sue sofferenze: una natura che non è né madre generatrice né forza distruttrice, ma semplicemente esiste e agisce indifferente a chi la circonda.
127 ore, ad ogni modo, riesce essere un film che funziona sì prevalentemente a livello cerebrale, ma concede momenti di coinvolgimento emotivo decisamente alti grazie soprattutto alla straordinaria prova di James Franco, bravissimo nel rappresentare la varietà degli stati d’animo di Ralston senza mai essere caricaturale o troppo enfatico.
Ma al di là degli indubbi pregi il film di Boyle sembra, a tratti, essere un po’ troppo compiaciuto; barocco e orgoglioso di esserlo. Indubbiamente se si fosse sacrificato qualcosa della componente cerebrale-estetica a favore invece della dimensione umana ed empatica, la pellicola sarebbe risultata più sentita e coinvolgente, ma anche così è un buonissimo esempio di cinema d’autore intelligente e maturo.

Voto: 7,5

Marco Valerio