Il grande ritorno di Carpenter era attesissimo e il regista dell’incubo mantiene le promesse e dopo 9 anni di assenza riappare sugli schermi in grande stile, portandosi dietro tutti i brividi che da lui ci si aspetta.
Il luogo prescelto è un manicomio femminile, i cui angoscianti corridoi sono attraversati da orrendi delitti. Carpenter elegge così a scenario il luogo dell’incubo per eccellenza, e il reparto-prigione è anche prigione della mente dove è disperato cercare una via di fuga, se non creando altro orrore. E se la narrazione sfocia in sviluppi prevedibili, come inevitabile quando l’horror ispeziona i meandri della psiche, seguendo schemi già noti, gli ingredienti della paura si addensano tutti per creare un horror vecchio stile al quale non manca nulla: l’ambientazione squallidamente cupa, le stanze nude e sbarrate, il mostro che vi si aggira, le urla, i nemici dal doppio volto, l’angoscia di essere soli....
Non siamo qui a raccontare la trama (ma i tasselli si incastrano tutti ricomponendo il quadro della follia), bensì a lodare un’opera visivamente allucinante che conserva il fascino un po’ primitivo di un horror tanto più inquietante tanto più low budget (ma che mano nell’insinuarsi nella labirintica fuga!) dove è condensato tutto l’immaginario di Carpenter. Un “seme della follia” in cui si lotta contro i fantasmi della mente, un universo tutto femminile che precipita in un abisso lovecraftiano e ne riemerge con i suoi mostri.

Voto: 7

Gabriella Aguzzi