La pelle che abito

23/09/2011

di Pedro Almodovar
con: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes

Il gusto di Almodovar per le trame estreme non è scemato negli anni e il provocatorio regista spagnolo trova vasto materiale nel romanzo di Thierry Jonquet "Tarantola", che poi stravolge a suo piacimento. Difficile commentare il film senza svelarne il plot che però, come in ogni storia tinta di giallo, non va anticipato, e già riscontriamo un elemento che avvince Almodovar: l'atmosfera giallo-noir che va a sposarsi all'enfasi del melodramma. Ma riscontriamo anche il primo dei molti difetti che costellano questo suo "La Pelle che abito" a dimostrare che il regista, pur mantenendo la propria identità (e infatti il film è un gran contenitore di tutti i luoghi comuni della sua cinematografia, quasi ne fosse un manifesto) non ha più il mordente di un tempo. Se siamo in clima giallo, Almodovar per primo ne anticipa i colpi di scena, con una mezza spiegazione a 40 minuti dall'inizio, per poi inoltrarsi nei flash back di una storia che sembra completamente diversa, affastellando (come già aveva fatto altre volte) due o più film in uno.
Alcuni critici hanno notato che il materiale del romanzo, in mano ad un regista come Cronenberg, avrebbe potuto costituire la base per un horror quanto mai inquietante e perverso. Ma Almodovar ha voluto fare di questa rivisitazione del mito di Frankenstein un film "alla Almodovar", ovvero un film che ne rispecchiasse le ricorrenti ossessioni, piegando ad esse la trama, con il gran ritorno del suo attore simbolo Antonio Banderas. C'è il sequestro di "Legami!" e c'è il cambio d'identità sessuale, la nuova pelle di "La Legge del Desiderio" e "La Mala Educaciòn", ci sono madri passionali e disperate (splendida come sempre Marisa Paredes), c'è la composizione a puzzle di "Gli Abbracci Spezzati" (là di fotografie, qui di un corpo) e c'è il melodramma che trionfa su tutto grondando lacrime e sangue.
E proprio nel soggetto di partenza, e poi nel suo sviluppo, risiede il punto debole. I meccanismi psicologici dei personaggi sono quanto mai contorti, i loro mutamenti repentini e inspiegati, le conclusioni narrative affrettate. Se tutto è eccessivo, ai confini della follia, ed è stato proprio l'eccesso ad attrarre Almodovar, manca però totalmente il gusto del grottesco, salvo la stonata intrusione di un uomo vestito da tigre. Sono lontani i tempi della Legge del Desiderio, il regista ha perso li'ronia sostituendola con un'estrema eleganza formale. Nel connubio tra grottesco e melodramma stava la sua ricetta segreta, ma i tempi sono cambiati e Almodovar ci presenta una raffinata operazione chirurgica che alla fine lascia tutti perplessi.

Voto: 6

Gabriella Aguzzi