Magnifica Presenza

14/03/2012

di Ferzan Ozpetek
con: Elio Germano, Paola Minaccioni, Giuseppe Fiorello, Margherita Buy, Cem Ylmaz, Vittoria Puccini, Anna Proclemer

Non c'è dubbio che il filo conduttore di tutti i film di Ferzan Ozpetek sia la memoria. Quella che manca, come nella Finestra di fronte, quella che torna, come in Harem Suaré, quella che resta, come in Saturno contro. E la presenza dei morti aleggia sempre tra noi, rivivendo attraverso i nostri gesti (il Bagno turco, Le fate ignoranti) o riapparendo tra le loro mura e tra i loro cari (Cuore sacro, Mine vaganti). È quindi un percorso d'autore naturale che ha portato Ferzan ad affrontare questi fantasmi. O meglio, presenze, anche se quella magnifica del titolo è quella di Elio Germano: il vivente che “infesta” l'abitazione di chi non sa di essere morto e aspetta notizie per lasciare la casa. Naturalmente siamo anni luce da “The Others” o dagli horror giapponesi, qui abbiamo spiriti benevoli e toni di commedia, insomma fantasmi all'italiana, ma il risultato non è meno convincente o più scontato. Si ride per affrontare il dolore, ripercorrendo un po' tutti i temi cari al regista: la scoperta del passato che porta a scoprire se stessi; la famiglia non di sangue, ma che nasce dalla solidarietà, la solitudine e il senso di inadeguatezza che si stempera in compagnia; il gusto per la cucina; l'omosessualità come condizione di maggior sensibilità. C'è persino un'autocitazione nel nome di una della presenze, Luca Veroli, come il pasticcere de La finestra di fronte.
Temi che qui si incrociano con un pirandelliano interrogarsi sul lavoro dell' attore, su finzione e realtà, coi piani che si confondono. Chi è più vero tra i vivi e i morti? E si recita solo quando si indossa una maschera? Il protagonista, Pietro, aspira a diventare attore. Tutti sono attori. Anche il travestito a cui dà una mano, ricambiato, non è che un attore. E la leggendaria Livia Morosini è la maschera per eccellenza. Non a caso il film inizia con un occhio bistrato che guarda il pubblico in sala e finisce con un bellissimo, lunghissimo primo piano di Pietro che guarda uno spettacolo che noi non vediamo, con un sorriso che ricorda il De Niro di C'era una volta in America.
Pirandelliano, ma anche un po' woodyalleniano. Perché questi temi “seriosi” sono trattati con impagabile leggerezza, col gusto dell'assurdo e di un vago onirismo, in un dramma (o commedia) corale che ha per filo conduttore un personaggio ingenuo e sognatore, tanto che possiamo persino chiederci quanto tutto ciò che vede è reale e quanto è sogno, nato da sensi di colpa e solitudine.
La solitudine è un altro tema presente nel film, e questo per la prima volta in un'opera di Ferzan, e il registro interpretativo di Elio Germano gioca molto su questo filo sottile che separa lievità e tristezza. Non è certo una scoperta, Germano: da tempo abbiamo la certezza che sia uno dei nostri attori più sensibili e versatili. Tuttavia qui riesce a fare un ulteriore passo avanti, rendendo quasi impossibile figurarsi il film con un altro interprete, riempiendosi il volto di dolcezza e stupore, fragilità e purezza. In un film corale era comunque fondamentale che ogni attore, persino la comparsa, si integrasse perfettamente col resto del cast. È una delle doti di Ozpetek: non sbaglia mai un volto (l'unico elemento del cast che è stato eliminato era un cagnolino: e oggi il regista dice per fortuna, altrimenti sarebbe stato subissato di improbabili paragoni con The Artist). Ma il perfetto affiatamento nasce anche dal metodo di lavoro di Ferzan, che privilegia tantissimo gli attori. I suoi film vengono girati prendendosi il tempo necessario, quasi come lavori teatrali, con lunghe sedute di lettura al tavolo, dove ognuno apporta idee al personaggio e alla storia – a volte stroncate sul nascere da taglienti “ha parlato la saputella”, altre accolte a braccia aperte, come quella di Germano, bellissima, dell'album di figurine sui 150 anni dell'Italia – fino a vere improvvisazioni sul set. Se proprio vogliamo trovare qualcuno che spicca, non possiamo non citare Cem Yilmaz, che in patria è una star e qui una piacevolissima scoperta che vorremmo ritrovare, che sa dettare i tempi comici giusti alla “compagnia Apollonio”.
Come tutti i film che riescono bene, “Magnifica presenza” non è però perfetto. C'è qualche ovvietà (la sequenza al computer in cui Pietro illustra cosa è successo in tutti questi anni) e almeno una scena “fuori contesto” (quella della Badessa, necessaria a superare un empasse narrativo, ma stonata col resto), mentre questa sceneggiatura “collettiva” e un po' estemporanea, se dà ottimi esiti da un lato lascia però in giro qualche sospeso (per esempio la storia d'amore col fantasma è forse volutamente sfumata, ma avrebbe potuto da sola essere materiale per un film). Sono comunque peccati veniali. Il film di Ozpetek riesce a divertire, commuovere, coinvolgere: in una parola, emozionare. Ciò che deve fare un buon film.

Voto: 7,5

Elena Aguzzi

Il nuovo bellissimo film di Ferzan Ozpetek è un’autentica boccata d’ossigeno per il nostro cinema italiano un po’ troppo asfittico. È  una boccata d’ossigeno per il cervello ed il cuore dello spettatore perché Magnifica Presenza è un film che contiene tanti generi, dalla commedia di costume alla tragedia, per passare al teatro nel cinema e viceversa, per passare dal ghost-movie al thriller a sfondo bellico, per poi approdare al dramma esistenziale, poiché in questo film il suo artefice vuole raccontare soprattutto la solitudine del presente, anzi è un’opera sulla solitudine che sfocia in una soave follia… L’abilità assoluta e geniale di Ferzan Ozpetek è che riesce perfettamente a mescolare tutti questi generi riuscendo a costruire un’opera d’arte perfetta.
In queste poche righe di recensione non leggerete un rigo di trama del film poiché sostengo da sempre e con vigore che un film va visto, non letto o raccontato.
Detto questo non nascondo il mio amore, sconfinato ed assoluto tendente al tifo da stadio, per il cinema di Ferzan Ozpetek da sempre perché le sue opere raccontano i tormenti dell’animo umano con leggerezza e soavità ma sempre con meticolosa precisione quasi chirurgica. Amo il cinema di Ozpetek per la sua inconfondibilità come solo i grandi Maestri sanno fare e per il coraggio di affrontare temi tabù, come l’omosessualità e l’urgenza assoluta e vitale della memoria, senza mai gridare e senza essere pedante, noioso ed auto celebrativo.
Altro motivo che mi fa amare il suo cinema è che Ferzan Ozpetek dirige i suoi attori divinamente; da tutti i suoi film trasuda il suo amore e rispetto per gli attori, sentimenti, a mio modesto parere, fondamentali per chi fa il mestiere del regista.
Gli interpreti sono tutti straordinari e perfettamente immersi nel ruolo; ma mi permetto di sottolineare la prova d’attore di Elio Germano, il quale riesce a trasmettere leggerezza ad un personaggio tragicamente candido. Pregevole l’ottima perfomance attoriale di Giuseppe Fiorello per il quale è arrivato il momento di pretendere dei ruoli da protagonista assoluto nel nostro cinema e chissà anche oltre, perché no? Magnetica e inquietante, la sempre bravissima Anna Proclemer.
Magnifica Presenza si può definire un’opera cupamente allegra e, senza togliere meriti a nessuno, è certamente il film italiano più emozionante, toccante ed interessante di questo principio di 2012 e scusate se è poco… Da non perdere per nessun motivo e complimenti  a Ferzan…

Voto: 7,5

Ettore Calvello