Hunger

22/05/2012

di Steve McQueen
con: Michael Fassebender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan, Liam McMahon

Difficile affrontare in poche righe una questione complessa e spinosa come i “Troubles”, risultato di secoli e secoli di oppressione e occupazione dell’Irlanda da parte dell’Inghilterra. I conflitti che riguardano la guerra d’indipendenza contro gli inglesi sono stati portati più volte sul grande schermo, come argomento principale o come sfondo per la narrazione di altre storie: si pensi a I cospiratori (1960) di Tay Garnett, con Robert Mitchum, pellicola il cui titolo originale A Terrible Beauty cita le parole con cui William Butler Yeats in Easter 1916 celebrava la sollevazione della Pasqua del 1916 (“una terribile bellezza è nata”); a film intensi quali Cal (1984) di Pat O’Connor, Nel nome del padre (1993) di Jim Sheridan, Niente di personale (1995) di Thaddeus O’Sullivan, Michael Collins (1996) di Neil Jordan, e The Boxer (1997) di Jim Sheridan.  
Con Hunger, Steve McQueen riapre una finestra sulla lotta di liberazione dell’Irlanda del Nord facendo una scelta precisa: scarta la rappresentazione di scene di guerriglia urbana e ricostruisce la tragica vicenda di Bobby Sands (1954-1981), militante dell’Ira (Irish Republican Army) e simbolo della resistenza irlandese contro l’oppressione degli inglesi, morto nella prigione di Long Kesh dopo due mesi di sciopero della fame.
Prima però che il personaggio, interpretato da un eccellente Michael Fassbender, entri in scena, senza fornire tante spiegazioni il regista introduce lo spettatore nel cuore dei fatti: l’incarcerazione di altri giovani legati all’Ira, il rifiuto di indossare l’uniforme della prigione e di lavarsi, la brutalità del trattamento dei secondini, lo stato di degrado in cui vengono costretti a vivere i detenuti che, tra urina, escrementi e rifiuti diventerà uno strumento di protesta e di rivendicazione dei loro diritti, i pestaggi e le perquisizioni subite.
Sequenze tesissime, in interni claustrofobici e repellenti, spesso girate con la macchina a spalla, un vero pugno nello stomaco per chi guarda, alternate a inquadrature cariche di poesia (il ragazzo imprigionato che accompagna col dito le evoluzioni di una mosca che fa capolino tra le sbarre della finestra; Bobby morente che si ricongiunge a quel bambino che correva libero nella sua verde terra) e a momenti spiazzanti in cui la vicenda è ripresa dal punto di vista di personaggi “di contorno” (il secondino intrappolato nella routine delle nocche insanguinate; la guardia che, disperata, si nasconde per non prendere parte ai pestaggi eseguiti dai colleghi: scelta, quest’ultima, assai efficace perché amplifica la forza drammatica delle scene mostrate).
Con Bobby Sands incarcerato, e ora centro della storia, la protesta contro il mancato riconoscimento dello status politico dei detenuti, il governo inglese è inamovibile, prende la strada dello sciopero della fame. Un graduale scivolare verso la consunzione, narrato tramite riprese lente, in ambienti asettici e luminosi in netto contrasto con i set cupi e sgradevoli della prima parte del film. Un progressivo evolversi degli avvenimenti espresso attraverso il linguaggio dei corpi e del corpo, fino ad arrivare alla scarnificazione di quello del protagonista nel finale.
Nel silenzio riempito soltanto dai rumori, spicca uno dei pochi dialoghi del film, provocatoriamente assai lungo, tra Bobby e il prete: uno scambio di frasi che però non porta a niente, perché è attraverso il corpo, strumento di lotta, che si concluderà la vicenda. Laddove la comunicazione verbale fallisce (il regista riprenderà anche in Shame la stessa problematica), il corpo diviene un disperato veicolo di affermazione. Un piano-sequenza indimenticabile che cristallizza in un momento di grande cinema, evitando le secche della retorica, la determinazione con cui il protagonista combatte e muore per i propri ideali di giustizia e libertà.
La circolarità per cui nelle ultime immagini prorompe la vita, dà alla sua morte il senso di un inizio, non di una fine. Un’opera, questa di McQueen, per certi versi sconvolgente, bellissima e, nella sua asciuttezza, toccante. Quanto la lettura del libro di Bobby Sands Un giorno della mia vita, forse di più.

Voto: 9

Andrea Salacone