Detachment - Il Distacco

16/06/2012

di Tony Kaye
con: Adrien Brody, Sami Gayle, Christina Hendricks, James Caan

“It’s so easy to hate, It takes guts to be gentle and kind”, cantava tanti, tanti anni fa Morrissey in “I Know It’s Over”, uno dei pezzi più belli e struggenti degli Smiths. Henry Barthes (il bravissimo Adrien Brody) è alle prese con una scuola secondaria che sembra una versione moderna dell’High School del “Seme della violenza” di Richard Brooks, ma assai più desolante: un microcosmo che riproduce una cospicua porzione della società americana in balia di violenza, di sconforto, di indifferenza verso il mondo circostante, di incapacità nichilista di immaginare un futuro o una qualche forma di riscatto.
L’insegnante prende atto con disincanto dello stato delle cose, e prova ad arginare le brutture di quegli ambienti proponendo agli alunni la letteratura se non come ancora di salvezza almeno come strumento di liberazione del pensiero e di scardinamento almeno parziale del conformismo e dell’apatia che loro vivono quotidianamente. Barthes però non è un novello professor Keating dell’“Attimo fuggente”: gli spunti letterari (soprattutto l’Orwell profetico di “1984”; Poe) rimangono sullo sfondo, mentre in primo piano ci sono le azioni concrete del professore. Nonostante il titolo del film, questi rivela non distacco ma una certa empatia (però non a fini “didascalici”) con alcune delle persone che incontra, anche se non annulla mai del tutto le distanze tra sé e gli altri. Ecco allora il tentativo di far cambiare strada alla prostituta adolescente  — un omaggio al Travis Bickle di “Taxi Driver”? — o la tenerezza per la ragazza problematica e sovrappeso incompresa dai genitori e dai compagni di scuola. Piccoli passi per provare a portare un po’ di luce nell’esistenza di giovani che probabilmente non avranno un domani; gesti che innescano un percorso di formazione doloroso ma necessario durante il quale Henry dovrà confrontarsi con la propria vita trascorsa e con ciò che gli rimane degli affetti familiari.  
Risparmiandoci facili scelte consolatorie o rassicuranti, il regista ci fa sprofondare in un’atmosfera pregna di pessimismo e disperazione, in cui gli unici barlumi di speranza si ravvisano nell’atteggiamento dei pochi professori non ancora del tutto disillusi in merito alle potenzialità formative della scuola come antidoto (forse) alla violenza e all’alienazione; come possibilità che viene data ai ragazzi di non buttare via le proprie vite. Un’istituzione che certo non viaggia in buone acque, quasi un cadavere in disfacimento; ma la poesia delle ultime inquadrature ci spinge a pensare che, a dispetto delle rovine, finché ci saranno da studiare opere in prosa o in versi capaci di farci vibrare, di produrre in noi emozioni, non tutto sarà perduto.

Voto: 8,5

Andrea Salacone