Gangster Squad

28/02/2013

di Ruben Fleischer
con: Sean Penn, Josh Brolin, Ryan Gosling, Emma Stone, Giovanni Ribisi, Nick Nolte

Los Angeles, 1949. Mickey Cohen sta impossessandosi della città attraverso la droga, il gioco d'azzardo, la prostituzione e la corruzione della polizia e dei politici. Ma un esiguo gruppetto di agenti incorruttibili si operano, in incognito, per porre fine al suo imperio e scoraggiare chiunque altro voglia sostituirvisi.
Rimandando negli ambienti e le atmosfere a “L.A. Confidential” e mescolando molta cronaca a un po' di fantasia, il film si presenta quasi come una sorta di remake de “Gli intoccabili” : qui c'è Cohen e lì Capone, qui Los Angeles e lì Chicago, qui gli anni '50 e lì gli anni '30, ma la storia – un manipolo di eroi poliziotti contro il nemico numero uno – è la stessa, e non solo, anche i personaggi sembrano ricalcati a carta carbone ( l'integerrimo padre di famiglia e capo carismatico del gruppetto, il vecchio pistolero, il latino di belle speranze, l'omino di poca azione e tanto cervello che trova come incastrare il boss; in più c'è solo un agente di colore – per legge i film americani devono avere un personaggio negro – e il giovane carino che ha una relazione con la pupa del gangster, tanto per variare un po' sulla trama), e poi i ritmi da western urbano e le esplosioni di violenza (e con l'orribile Cohen qui abbiamo un buon tasso di orrori).
A questo punto sorge spontanea la domanda: posto anche che sia un buon film, perché andare al cinema per vedere questa pellicola, quando si può guardare in televisione il prototipo?
Tre buoni motivi. Intanto L.A. non è solo un diverso involucro, ma detta uno stile diverso al film, che assume i toni della “scuola dei duri” anche grazie a una bella sceneggiatura di matrice letteraria e al personaggio principale (un sobrio Josh Brolin, sempre più simile a Nick Nolte, che qui gli viene posto di fronte quasi a passargli il testimone come un padre al figlio), il sergente John O'Mara, un reduce che affronta l'indagine come se fosse una guerra (“nell'esercito ci hanno insegnato a combattere, ora sono diventato bravissimo in questo, ma ho disimparato a vivere”).
Secondo, la variante sentimentale che ha per protagonista Ryan Gosling, perfetto con quel suo sorrisetto cinico e gli occhi da cucciolone. Non serve solo a svagare un po' il pubblico, ma inserisce nella vicenda un lato che presenta/può presentare dei veri e propri imprevisti, complicando i fatti e i rapporti tra i personaggi e portando la trama, o la sua soluzione, su altri binari .
Terzo, e principale, Sean Penn. Il suo ritratto dell'ex pugile, ebreo frustrato, sadico paranoico, ebbro di potere è impressionante. Ci sono attori che entrano nei ruoli e attori che portano quei ruoli a giganteggiare ( si pensi a Marlon Brando, il Robert de Niro degli anni d'oro, Al Pacino, Daniel Day Lewis): qui Penn appartiene senza dubbio a quest'ultima categoria.
Bene il doppiaggio, ma si consiglia sempre la versione originale.

Voto: 7

Elena Aguzzi