Sasha Gervasi ha costruito la sua storia, sfruttando la leggenda di Hitchcock, i suoi tic e le sue paure. L'azione si concentra in alcuni mesi del biennio 1959-60, durante i quali Hitchcock mette a rischio la sua carriera pur di girare il suo quarantasettesimo film, “Psycho”.
Hitchcock aveva compreso, molto prima di tanti altri, quanto e come poteva sfruttare la propria immagine, a beneficio del suo conto in banca e del suo insaziabile ego. A partire dalle furtive apparizioni nei suoi film, fino alla sua inconfondibile silhouette, utilizzata come etichetta per la serie televisiva, Hitchock si è imposto sempre di più, è stato il primo regista a raggiungere una popolarità tale da eclissare le star dei suoi cast. È su questo piano che Sasha Gervasi ha costruito la sua storia, sfruttando la leggenda di Hitchcock, i suoi tic, le sue paure, le sue debolezze, per farne un personaggio di pura fiction.
L'azione si concentra in alcuni mesi del biennio 1959-60, durante i quali Hitchcock mette a rischio la sua carriera pur di girare il suo quarantasettesimo film, “Psycho”. Reduce dal gran successo di “North by Northwest” (in Italia, “Intrigo internazionale”), il regista londinese resta affascinato dalla storia di Ed Gein, il serial killer del Wisconsin a cui Robert Bloch si è ispirato per la stesura del suo romanzo, tanto da acquistarne i diritti. Data la natura del soggetto, è costretto ad autofinanziarsi il film e, per contenere le spese ed ottimizzare il tempo, utilizza la troupe della serie TV “Alfred Hitchcock Presents” e ricorre all’escamotage del bianco e nero per evitare i tagli della censura: la violenza della storia è soprattutto evocata e il sangue inquadrato, di fatto, è cioccolato fuso. Anche la scena più famosa del film, tra le più note della cinematografia mondiale, è frutto di un trucco scenico. Basata su uno storyboard di Saul Bass, la scena dura neanche un minuto eppure richiede sette giorni di lavorazione per settantasette posizioni della macchina da presa. La controfigura di Janet Leigh (forse la coniglietta Playboy Marli Renfro) “riceve” fendenti solo grazie al montaggio serrato, perché, di fatto, in nessuna inquadratura si vede il coltello affondare nel corpo di Marion. E, ancora, ben documentata in riferimento alla fatidica scena, la volontà di Hitchcock di girare senza alcun accompagnamento musicale, salvo poi cambiare idea quando Bernard Herrmann gli fa ascoltare le sue composizioni: Hermann, neanche a dirlo, ha il cachet quasi raddoppiato.
Eppure, la storia del serial killer del Wisconsin è solo un pretesto; i macabri omicidi commessi da Ed Gein hanno affascinato per più di sessant’anni molti cineasti, ispirando film come “Non aprite quella porta”, “Il silenzio degli innocenti” e “Deranged” e riempiendo le pagine di numerosi articoli e libri, tra cui lo stesso lavoro di Stephen Rebello, utilizzato come sceneggiatura base di “Psycho”.
Gervasi pone l’accento su un altro aspetto, o meglio, su un altro personaggio costante nelle pellicole del regista inglese: sua moglie. I due coetanei si sono conosciuti durante la lavorazione di “Woman to woman”, dove lui era co-sceneggiatore e aiuto-regia, mentre lei era già una montatrice affermata. Dopo un lungo fidanzamento, i due si sono sposati e hanno avviato un lungo sodalizio, anche lavorativo, che li terrà uniti fino alla morte. Senza uscire dall’ombra (ben voluminosa) del marito, Alma si rivela un’ottima sceneggiatrice e montatrice e dà al marito idee valide per i suoi film, soprattutto gli concede quella fiducia senza la quale, forse, non sarebbe riuscito a raggiungere i suoi obiettivi. Coerente al suo ruolo, anche per “Psycho”, Alma aiuta il marito a selezionare il casting e gli fa notare alcuni dettagli non poco importanti per la riuscita del film, come quando, durante le anteprime, è l’unica ad accorgersi che nella scena della doccia si vede Janet Leigh respirare ancora: Hitchcock, quindi, può modificarla in extremis.
Sasha Gervasi cerca di restituire piuttosto seccamente la complessità e la perversità delle riprese di "Psycho", oltre che dello stesso Hitchock, spettatore tra gli spettatori, attento osservatore delle reazioni nel pubblico. Non restano fuori dal lavoro di Gervasi gli attacchi bulimici e l’attrazione morbosa per le prime attrici, rievocata attraverso le battute rivolte a Janet Leigh (Scarlett Johansson) e Vera Miles (Jessica Biel); attrazione di cui lo stesso regista parla allo psicanalista, oltre a confessargli un urgente bisogno di approvazione. Per anni Hitchcock ha atteso un caloroso “Bravo!”, ma nessuno dei suoi film ha ottenuto un Oscar.
Capaci di dare spessore alle manie di Hitchcock, gli attori incarnano quei cortocircuiti che il regista crea tra la sua biografia e i personaggi delle sue pellicole. Emblematiche, a tal proposito, le scene in cui Hitchcock “parla” con lo stesso Ed Gein. Eppure il pubblico sembra deciso: Hopkins sta a Hitchcock come la neve a Lampedusa. Oltre alle smaccate differenze fisiche, alle quali si è cercato di ovviare con un pesante maquillage, la voce data al regista non è accostabile all’originale: al di là delle discrepanze tra accento del Galles (Hopkins) e cadenza londinese (Hitchcock), oramai facciamo riferimento alle basse tonalità delle presentazioni delle sue serie TV e della chilometrica intervista concessa a Truffaut nel 1962 (le cinquanta ore di colloquio sono trascritte nel libro di François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano 2009).
È il limite di voler riproporre la biografia di un uomo che abbiamo sentito una pletora di volte parlare. Altro limite: la prima attrice, Helen Mirren, è così energica e convincente da avere quasi distorto Alma in un femme fatale a tratti più sexy delle algide protagoniste delle pellicole di suo marito.
Validi i costumi e la ricostruzione ambientale, dentro e fuori il set di “Psycho”.
Nel complesso, l’aura di Hitchock risulta un po’ intaccata, ma senza troppi danni.
Voto: 6,5
Maria Vittoria Solomita